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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Ordinanza 7 marzo 2017 – 8 ottobre 2018, n. 24678

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

EQUITALIA SUD S.P.A., incorporante della EQUITALIA GERIT s.p.a., in persona del Responsabile del Contenzioso Regionale Lazio avv. Maria Stranieri, elettivamente domiciliata in Roma, Via G. P. DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avv. Stefania Di Stefani che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, in persona del Commissario pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove 25, presso l’Avvocatura Capitolina, rappresentata e difesa dall’avv. Pier Ludovico Patriarca;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10339/2013 del Tribunale di Roma, depositata il 13.05.2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/03/2018 dal Consigliere Dr. GRASSO Giuseppe.

Svolgimento del processo

Che il Tribunale di Roma con la sentenza di cui in epigrafe, accolto l’appello avanzato da Paola C. nei confronti di Roma Capitale ed Equitalia Sud s.p.a., annullò una cartella di pagamento avente presupposto in un verbale di contestazione di violazione del codice della strada, condannando gli appellati Roma Capitale ed Equitalia, al rimborso solidale delle spese legali;

ritenuto che avverso la predetta statuizione Equitalia Sud propone ricorso corredato da duplice censura;

che Roma Capitale resiste con controricorso e che la C. non ha svolto difese;

ritenuto che con il complesso censuratorio la ricorrente prospetta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 assumendo che agendo la medesima quale mero riscossore, restando “del tutto estranea alla fase prodromica alla iscrizione a ruolo”, priva del potere “di indagare sulla liceità o sul merito della sottostante pretesa impositiva”, ad essa non poteva addebitarsi il carico, sia pure solidale, delle spese di lite, stante che l’unico responsabile avrebbe dovuto individuarsi nell’ente impositore, che aveva effettuato l’iscrizione a ruolo ed ulteriormente indugiando sul punto, evidenziando che la sentenza gravata non aveva espressamente preso in esame la questione, così omettendo di tener conto di un fatto decisivo;

Motivi della decisione

Che la doglianza, nel suo complesso, deve essere disattesa sulla base degli argomenti di cui appresso:

a) nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale relativa al pagamento di sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, ove il destinatario della stessa deduca la mancata notifica del verbale di accertamento dell’infrazione, come nel caso di specie, la legittimazione passiva spetta non soltanto all’ente impositore, quale titolare della pretesa sostanziale contestata, ma anche, quale litisconsorte necessario, all’esattore che ha emesso l’atto opposto e ha perciò interesse a resistere, in ragione dell’incidenza che un’eventuale pronuncia di annullamento della cartella può avere sul rapporto esattoriale (cfr., ex multis, Sez. 6, n. 15900, 26/6/2017, Rv. 644728);

b) secondo un primo orientamento “non può conseguire la condanna alle spese in danno della parte che, pur avendo dovuto indispensabilmente partecipare al giudizio per motivi riconducibili alla ritenuta sussistenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario, abbia posto in esser una fase procedimentale ulteriore (nell’esercizio della pretesa sanzionatoria amministrativa) su istanza di altro ente malgrado la formazione illegittima del titolo esecutivo addebitabile esclusivamente all’ente richiedente l’emissione della cartella esattoriale” (Sez. 6, n. 12385, 21/5/2013;

c) l’opzione interpretativa sopra riportata risulta essere stata successivamente abbandonata da questa Corte, la quale ha chiarito che nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale relativa al pagamento di sanzione amministrativa, anche quando l’impugnazione sia riconducibile al vizio di notifica del verbale di accertamento presupposto, eseguita dall’ente impositore, l’esattore deve rispondere delle spese processuali nei confronti dell’opponente vittorioso, in base al principio di causalità, che informa quello della soccombenza, perchè comunque la lite trae origine dalla notificazione della cartella di pagamento, sebbene eseguita dall’esattore in esecuzione del rapporto che ha ad oggetto il servizio di riscossione, e tenendo peraltro conto che l’esattore, proprio perchè ha una generale legittimazione passiva nelle controversie aventi ad oggetto la riscossione delle somme di cui è incaricato, ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, deve rispondere dell’esito della lite pure con riguardo alle spese processuali (sez. 6, n. 2570, 31/1/2017, Rv. 642743);

ulteriormente precisandosi che le spese di lite, in base al principio di causalità, vanno poste solidalmente a carico, dell’ente impositore e dell’agente della riscossione, da considerarsi entrambi soccombenti rispetto all’opponente, il quale è, invece, estraneo alla circostanza, rilevante solo nei rapporti interni, per cui il secondo ponga in essere atti dovuti su richiesta del primo (Sez. 6, n. 1070, 18/1/2017, Rv. 642562);

d) questo secondo orientamento, che maggiormente convince, coniugando l’esigenza di tener indenne dalle spese di causa il litigante risultato vincitore nei confronti di tutti coloro che, a qualsiasi titolo, contrastavano la di lui pretesa, e, ad un tempo, l’esigenza di assicurare, nel riparto interno fra i litiganti soccombenti e obbligati solidali, che il costo del contenzioso possa potersi scaricare sul solo soggetto fonte dell’erronea formazione del titolo posto in riscossione (nella specie il Comune di Roma), appare oramai consolidato, di talchè il contrasto risulta superato;

e) da quanto esposto è del tutto evidente che il lamentato omesso esame di un fatto controverso e decisivo non è neppure ipotizzabile, trattandosi di questione di diritto correttamente risolta dal Giudice del merito;

considerato che le spese, liquidate come in dispositivo, tenendo conto del valore e della natura della causa, nonchè delle attività svolte, seguono la soccombenza;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.


Così deciso in Roma, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2018.

 

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