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Con l’ordinanza interlocutoria n. 13556/2021 del 18 maggio 2021 la Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione rilevata la persistenza di contrasto sulla questione di diritto inerente la natura del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo e di conseguenza l’applicabilità o meno dell’art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011 in caso di errata introduzione del giudizio, ha rimesso la controversia al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezione Unite.

La Suprema Corte a S.U., quindi, con sentenza 13 gennaio 2022, n. 927 (testo in calce) enunciato il principio di diritto per cui “allorché l’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione di immobili urbani, soggetta al rito speciale di cui all’art. 447-bis c.p.c., sia erroneamente proposta con citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di mutamento del rito di cui al D. Lgs. N. 150 del 2011, art. 4 – che è applicabile quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dai modelli regolati dal medesimo D. Lgs. N. 150 del 2011 -, producendo l’atto gli effetti del ricorso, in virtù del principio di conversione, se comunque venga depositato entro il termine di cui all’art. 641 cpc”.

La vicenda

Con atto di citazione, l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo proponeva opposizione al decreto ingiuntivo ritualmente notificatole ed avente ad oggetto somme dovute per indennità di occupazione e oneri accessori. Trattandosi di controversia in materia di locazione, il Tribunale di Palermo, dopo aver disposto ex art. 426 c.p.c. il mutamento del rito da ordinario a speciale, dichiarava l’inammissibilità dell’opposizione in quanto tardiva essendo stato l’atto di citazione depositato in Cancelleria dopo il termine decadenziale ex art. 641 c.p.c. Proposto gravame dall’ Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, la Corte di Appello di Palermo rilevava l’applicabilità al caso di specie dell’art. 4 comma 5 del D.Lgs. n. 150/2011 con salvezza degli effetti della domanda secondo le norme del rito ordinario con cui era stata introdotta l’opposizione, nulla decidendo però nel merito dell’opposizione in quanto, ad avviso della Corte, l’appellante non aveva formulato alcuna domanda in tal senso.

L’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo proponeva ricorso per cassazione affermando l’applicabilità al caso di specie dell’art. 4 comma 5 del D.Lgs. n. 150/2011 e la conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 177, 159 e 342 cpc; rispondeva con controricorso contenente ricorso incidentale la società creditrice sostenendo l’inapplicabilità dell’art. 4 comma 5 del D.Lgs. n. 150/2011 al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in quanto trattasi della seconda fase di un giudizio già pendente e non rientrante nelle materie di cui al decreto legislativo.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, quindi, rilevata la “sussistenza di questione di diritto non decisa in senso univoco da precedenti pronunce della Corte, quanto alla natura di impugnazione o di ordinario giudizio di cognizione del procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo, questione incidente anche sulla operatività del mutamento del rito ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011 art, 4, ha rimesso il ricorso al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite” (sentenza  n. 927 del 13/01/2022).

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II profilo: la natura dell’opposizione a decreto ingiuntivo

La Suprema Corte si è dovuta interrogare in via preliminare sulla natura dell’opposizione a decreto ingiuntivo, indagando se tale procedimento possa considerarsi un giudizio autonomo, un grado autonomo di un giudizio già iniziato e, pertanto, un’impugnazione o la seconda fase di un giudizio già pendente.

L’esame di tale aspetto ha portato le S.U. ad analizzare i precedenti orientamenti giurisprudenziali riscontrando così la sussistenza di un contrasto sia a livello giurisprudenziale che dottrinale.

Un orientamento risalente nel tempo affermava che l’opposizione a decreto ingiuntivo deve essere inquadrata non come un giudizio autonomo, ma come una fase ulteriore ed eventuale del giudizio monitorio (Cass. Civ. n 7448 del 7 luglio 1993). Tale orientamento era stato poi confutato dalla stessa Suprema Corte con pronunce in cui era stata affermata “l’assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione” (Cass. Civ. S.U. 9769 del 18 luglio 2001; in senso conf. Cass. Civ. S.U. 10984 e 10985 del 8/10/1992; Cass. 11 febbraio 1999 n. 1168; Cass. 12 marzo 1999 n. 2215; Cass. 9 aprile 1999 n. 3475; Cass. 13 luglio 1999 n. 7418; Cass. 27 novembre 1999 n. 13281; Cass. 18 febbraio 2000 n. 1828). A tali pronunce era seguito un ulteriore indirizzo per il quale l’opposizione doveva considerarsi un giudizio di cognizione autonomo rispetto al procedimento monitorio in quanto non teso al mero controllo della legittimità del decreto ingiuntivo emesso, ma all’analisi del rapporto giuridico alla base dello stesso ( Cass. Civ. S.U. 20604 del 30 luglio 2008 e 19246 del 9 settembre 2010).

Con la sentenza n. 19596 del 18 settembre 2020, la Suprema Corte è però tornata alle origini confermando la correttezza di quell’orientamento che individuava l’opposizione a decreto ingiuntivo come la seconda fase di un procedimento già pendente suddiviso in due fasi: la prima a cognizione sommaria e la seconda a cognizione piena, orientamento condiviso anche nella sentenza in questa sede esaminata in cui la Suprema Corte, pur dando atto dei diversi orientamenti, fa propria la tesi interpretativa di cui alla sentenza del 1993 in cui si afferma che “ l’opposizione prevista dall’art. 645 cp, non è un’actio nullitatis o un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio”, non quale “ giudizio autonomo, ma come fase ulteriore (anche se eventuale) del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo”.

II profilo: in caso di errata introduzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo con rito ordinario e non speciale, è applicabile il D.Lgs, n. 150/2011?

L’analisi della Suprema Corte parte dalla normativa stessa e in particolar modo dall’art. 4 in cui è previsto al comma 1 che “quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza”. Il dettato normativo è chiaro nel prevedere, quindi, secondo la sentenza in esame, la propria applicabilità ai soli procedimenti speciali extra codice richiamati dal D.Lgs. n. 150/2011, non fungendo tale disciplina da norma generale con portata abrogativa nei confronti degli artt. 426 e 427 c.p.c.

A tali conclusioni era pervenuta anche la III Sezione della Suprema Corte che nella sentenza n. 13072 del 25/5/2018 aveva affermato il principio, richiamato dalle S.U., per cui il “ D. Lgs n. 150 del 2011, art. 4, disciplina esclusivamente il mutamento del rito in caso di controversia promossa in forme diverse da quelle previste nel medesimo decreto, e non costituisce una norma generale abrogativa e sostitutiva delle norme specifiche di cui agli artt. 426 e 427 cpc, che rimangono le norme generali di coordinamento tra rito ordinario e rito lavoristico/locatizio”.

Nell’ipotesi, quindi, di errata introduzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in materia lavoristica/locatizia con atto di citazione, anziché con ricorso, non opera la disciplina di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011 (con salvezza delle decadenze e delle preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento), bensì l’art. 426 c.p.c., con conseguente applicazione del principio di conversione ed efficacia dell’atto di citazione, quale ricorso, solo se lo stesso sia stato depositato in cancelleria entro il termine di decadenza.

CASSAZIONE CIVILE, SENTENZA N. 927/2022 > SCARICA IL TESTO PDF

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