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Il Tribunale di Torino, con sentenza del 29/01/2024[1], ha rigettato la domanda di nullità proposta da un mutuatario in conseguenza della manipolazione dei tassi Euribor compresi tra il 29/9/2005 ed il 30/5/2008, ponendosi espressamente in contrasto con la nota ordinanza n. 34889/2023 della Suprema Corte di Cassazione.

Sostiene, in specie, il Tribunale che “La disciplina contenuta nella dir. 2014/104/UE -relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea- e trasposta nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 19.1.2017 n. 3, attribuisce la legittimazione passiva per il danno causato da una violazione del diritto della concorrenza- (art. 1 d.lgs. 3/2017) esclusivamente all’autore della violazione, i.e.  -l’impresa o l’associazione di imprese che ha commesso la violazione del diritto della concorrenza– (art. 2 comma 1, lett. a). Vedi anche, per la centralità dell’autore della violazione nell’azione di risarcimento del danno, l’art. 8 d.lgs. 3/2017, secondo cui il diritto al risarcimento del danno derivante da una violazione del diritto della concorrenza si prescrive in cinque anni. La giur. della Corte di giustizia UE concede l’azione di risarcimento del danno anche a favore di chi ha subito nella propria contrattazione una ricaduta negativa, in termini di prezzo, della manipolazione della concorrenza (c.d. umbrella effect). Situazione questa rispondente all’allegazione dell’attrice: la concertazione di talune imprese bancarie avrebbe influito sul risultato giornaliero di Euribor e ciò avrebbe comportato per l’attrice un maggior onere per interessi rispetto al giusto. È tuttavia da osservare che l’apertura della legittimazione attiva ai terzi danneggiati, senza aver intrattenuto vincoli contrattuali con le imprese aderenti all’intesa, non estende al contempo la legittimazione passiva all’impresa rimasta estranea, ma si sostanzia nell’attribuzione al danneggiato dalla politica di prezzo di un’azione extracontrattuale nei confronti delle imprese aderenti. Si legge infatti nel leading case (CGUE, 5.6.2014, c-557/2012, Kone) che pur in tal caso la vittima di un prezzo di protezione («umbrella pricing») può ottenere il risarcimento del danno subito ad opera degli aderenti ad un’intesa, ancorché non abbia intrattenuto vincoli contrattuali con loro, laddove risulti accertato che, alla luce delle circostanze di specie e, segnatamente, delle peculiarità del mercato interessato, detta intesa fosse tale da poter incidere sull’applicazione di un prezzo di protezione da terzi agenti autonomamente e che tali circostanze e peculiarità non potessero essere ignorate dai membri dell’intesa medesima“.

È doveroso sottolineare che il complessivo argomentare del Tribunale di Torino, non solo è infondato, ma utilizza un riferimento normativo che non ha attinenza col caso di specie.

Infatti, per il Tribunale di Torino quindi il contraente di un contratto “a valle” di una intesa antitrust vietata può chiedere il risarcimento del danno ad una delle imprese che hanno partecipato a detta intesa, anche se non è quella con la quale ha stipulato il contratto.

Si rileva in primis che il D. Lgs. n. 3/2017, di attuazione della Direttiva 2014/104/UE del 26/11/2014, è entrato in vigore il 3/2/2017 e si applica in base all’art. 7, comma 2, della l. n. 31/2019 “alle condotte illecite poste in essere successivamente alla data della sua entrata in vigore. Alle condotte illecite poste in essere precedentemente continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della medesima data di entrata in vigore“.

La Direttiva 2014/104/UE, all’art. 22, “Applicazione temporale”, prevede espressamente che “Gli Stati membri assicurano che le misure nazionali adottate ai sensi dell’articolo 21 al fine di rispettare le disposizioni sostanziali della presente direttiva non si applichino retroattivamente. Gli Stati membri assicurano che ogni misura nazionale adottata ai sensi dell’articolo 21, diversa da quelle di cui al paragrafo 1, non si applichi ad azioni per il risarcimento del danno per le quali un giudice nazionale sia stato adito anteriormente al 26 dicembre 2014“.

Nel caso di specie, è pacifico che la manipolazione dei tassi Euribor è stata perpetrata nel periodo compreso tra il 29/9/2005 ed il 30/5/2008; dunque, è evidente che sia il D. Lgs. 3/2017 che la Direttiva 2014/104/UE non possono applicarsi alle cause pendenti alla data del 26/12/2014, ma, soprattutto, che dette norme non possono applicarsi a condotte illeciti precedenti al 3/2/2017, per le espressamente “continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della medesima data di entrata in vigore“.

Ciò basterebbe, ma in verità vi è un ulteriore errore metodologico nella pronuncia.

Infatti, il D. lgs. n. 3/2017 e la Direttiva 2014/104/UE sono state formulate per disciplinare la sola responsabilità extracontrattuale e non per quella contrattuale.

Infatti, è richiesto il pagamento da parte del contraente “a valle” di un «sovrapprezzo» che è “la differenza tra il prezzo effettivamente pagato e il prezzo che sarebbe altrimenti prevalso in assenza di una violazione del diritto della concorrenza“. In proposito si osserva che l’art. 10 D.lgs. n. 3/2017 prevede che “Il risarcimento del danno da violazione del diritto della concorrenza può essere chiesto da chiunque lo ha subito, indipendentemente dal fatto che si tratti di acquirente diretto o indiretto dell’autore della violazione“.

Si comprende, dunque, come si sia incorsi in un vizio di omessa pronuncia. Nella causa decisa dal T. di Torino, infatti, la domanda proposta era al contrario contrattuale essendo stato chiesto di “dichiarare la nullità della clausola 4 del contratto di mutuo relativamente alla indicazione dell’Euribor per periodo 29/09/2005 al 30/05/2008 per intervenuta violazione delle norme imperative impositive del divieto degli accordi e delle intese di cui agli artt. 2 l. n. 287/1990, 101 TFUE e 53 EEA. e dunque dichiarare dovuto il tasso legale tempo per tempo vigente, ai sensi degli artt. 1346/1284 III comma c.c“.

L’art. 2 della L. 287/1990 prevede espressamente che “Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto” mentre l’art. 33 prevede che “ Le azioni di nullità e di risarcimento del danno … sono promossi davanti al tribunale competente per territorio presso cui è istituita la sezione specializzata“.

La norma, quindi, prevede tanto la possibilità di far accertare la nullità delle intese antitrust, quanto la possibilità di ottenere un risarcimento del danno, e non esclude che oltre alla tutela aquiliana possa essere azionata la tutela contrattuale.

Il richiamo naturale, in proposito, è alla fondamentale pronuncia Cass. Civ., SS.UU., n. 41994/2021 la quale ha affermato chiaramente che “la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di nullità prevista dall’art. 33 della legge n. 287 del 1990, spetta non solo agli imprenditori, ma anche agli altri soggetti del mercato che abbiano interesse alla conservazione del suo carattere competitivo e, quindi, anche al consumatore finale. E ciò tanto ove sia spiegata un’azione risarcitoria, quanto se sia promossa un’azione restitutoria ex art. 2033 cod. civ., poiché il soggetto che chiede la restituzione di ciò che ritiene di aver pagato per effetto di un’intesa nulla allega pur sempre quest’ultima, nonché l’impossibilità giuridica che essa produca effetti successivi (Cass., 13/07/2005, n. 14716; Cass., 21/01/2010, n. 993). Se ne deve inferire che, anche per le decisioni citate, la nullità dell’intesa a monte si riverbera sul contratto stipulato a valle, che ne costituisce un conseguenziale effetto, tanto da legittimare anche un’azione di ripetizione di indebito fondata sulla nullità del contratto medesimo“.

La S.C. ritiene, in evidenza, che il contraente di un contratto “a valle” possa scegliere se proporre un’azione risarcitoria ex art 2053 (o 2043?) c.c. o un’azione contrattuale ex art 2033 c.c., per ottenere dalla controparte, con la quale ha concluso un contratto, la ripetizione delle somme indebitamente pagate essendo il contratto nullo.

Dunque i Tribunale di Torino erra a ritenere che il contraente “a valle” possa richiedere solo il risarcimento del danno a chi abbia alterato la libera concorrenza e non anche al suo diretto contraente; ciò, per quanto diremo, anche se non abbia perpetrato la condotta.

In effetti il passaggio essenziale da approfondire è la corretta interpretazione della citata Cass. SS.UU. n. 41994/2021, che dopo aver esposto i principi, condivisibili, sopra evidenziati, si è però occupata di un caso ben diverso da quello attinente il tasso EURIBOR, giacché, come noto, si occupava della vicenda delle fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI.

Secondo il Tribunale di Torino “Cass. 13.12.2023 n. 34889 ha ritenuto la nullità parziale, per la parte concernente il parametro Euribor degli anni 2005-2008, del finanziamento concesso da un’impresa estranea all’intesa, perché -raggiunto dal divieto di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 2 è qualunque contratto o negozio a valle che costituisca applicazione delle intese illecite concluse a monte (Cass. 12/12/2017, n. 29810)-. Sennonché è stato ripetutamente chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. sez. un. 4.2.2005 n. 2207 seguita da Cass. sez. un. 30.12.2021 n. 41994) che -il cosiddetto contratto ‘a valle’ costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti- e che -la funzione illecita di una intesa si realizza per l’appunto con la sostituzione del suo diritto di scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta apparente. E ciò quale che sia lo strumento che conclude tale percorso illecito. A detto strumento non si può attribuire un rilievo giuridico diverso da quello della intesa che va a strutturare, giacché il suo collegamento funzionale con la volontà anti-competitiva a monte lo rende rispetto ad essa non scindibile-. In altri termini stante il “collegamento funzionale” con la volontà anti-competitiva a monte – ai contratti a valle non può attribuirsi un rilievo giuridico diverso rispetto all’intesa che li precede: nulla essendo quest’ultima, la nullità non può che inficiare anche l’atto consequenziale” (in motivazione Cass. n. 41994/2021). Succintamente, il contratto si trova “a valle” perché serve a dare esecuzione all’intesa anticoncorrenziale e a realizzare gli scopi illeciti delle imprese aderenti ed è, per tale strumentalità a un fine illecito, colpito da nullità ex art. 1418 comma 1 c.c. e art. 2 legge n. 287/90“.

In sostanza, secondo il Tribunale, il contratto stipulato da un consumatore e un istituto di credito, che NON ha partecipato alle attività manipolative, non potrebbe essere ritenuto come “a valle” dell’intesa e, quindi, sarebbe escluso dall’effetto di nullità.

L’argomento non ha pregio e l’analisi del fatto concreto ne fa comprendere le ragioni.

Il caso concreto affrontato dalle SS.UU. riguardava le fideiussioni omnibus, delle quali alcune clausole di tali contratti sono state ritenute frutto di una intesa restrittiva della concorrenza; dunque, non è stato il contenuto a essere sanzionato, ma la circostanza che vi sia stato un accordo (diretto dall’ABI) finalizzato a imporre nel mercato italiano esattamente quello schema.

Dunque, clausole assolutamente valide, essendo state imposte, sulla scorta di un accordo a monte, sono state dichiarate contrarie alla norma e, come tali, nulle.

Su questo presupposto (è l’imposizione a essere illecita, non le clausole), la Corte di Cassazione (e le corti di merito) insiste nel pretendere (con quale fondatezza non è tema che qui interessa, anche se molto vi sarebbe da dire …) che sia fornita la prova della uniformità di contenuto delle fideiussioni tra loro.

È essenziale, cioè, ribadire che nel valutare quale sia un contratto “a valle”; la Corte di Cassazione ha chiarito che per tale si intende il contratto che costituisca “applicazione” dell’intesa a monte.

Tenendo ciò a mente, ben si comprende perché in materia di fideiussioni sia necessario dimostrare che LA PROPRIA fideiussione sia analoga a quelle frutto dell’Intesa vietata e sanzionata.

Ma nel caso del tasso di interesse, è evidente che simile prova non è pertinente. È il tasso EURIBOR di quel periodo a essere il dato sanzionato e, quindi, qualsiasi contratto che utilizza il parametro può (e deve) essere inteso come “a valle” dell’intesa sanzionata, perché ha dato “applicazione” dell’intesa, cioè ha utilizzato tale tasso; indipendentemente dal motivo per cui nel contratto sia stato utilizzato.

Vi è, dunque, un collegamento negoziale diretto tra il contratto per cui è causa e l’intesa sanzionata dalla CE, di per se nulla e non in ragione di una sua applicazione più o meno seriale ed imposta ai mutuatari.

In questo senso, anche se in modo diverso rispetto al caso esaminato dalle SS.UU., l’intesa vietata è stata attuata nel contratto di mutuo: non per “somiglianza” ed imposizione delle clausole in esso contenute (di per se lecite) ma in virtù della diretta applicazione nel contratto di mutuo dei tassi EURIBOR manipolati, di per se illeciti e nulli, senza necessità di alcun accertamento ulteriore se non la verifica che abbiano integrato il contratto di mutuo essendo stati presi come riferimento per il calcolo del tasso.

Ecco, dunque, spiegate le ragioni per cui i principi della SS.UU 41994/2021 sono certamente importanti, ma non possono essere pedissequamente applicati ad una fattispecie molto diversa.

Nel caso che ci riguarda, infatti, l’accordo assunto in violazione della normativa antitrust è la misura del tasso EURIBOR, che dunque è misurazione nulla, poiché l’intesa è nulla a tutti gli effetti.

Una volta chiarito che il contratto “a valle” è nullo ex art 1346 e 1418 cc in conseguenza della nullità del tasso EURIBOR al quale fa riferimento per contrarietà agli artt. 2 L. 287/1990 e all’art. 101 TFUE, e che quindi si tratta di un’azione contrattuale, appare superfluo disquisire sul fatto che i tassi EURIBOR in ragione della detta intesa vietata sia aumentato, sia diminuito o sia rimasto ad un livello costante, non dovendo l’attore provare che vi sia stato un aumento dei tassi EURIBOR e quindi il conseguente pagamento di un “sovrapprezzo”, ma semplicemente che il tasso EURIBOR al quale il contratto ha fatto riferimento sia stato manipolato, ed a tal fine basta solo allegare le decisioni del 2013 e del 2016 della Commissione Antitrust che per la Suprema Corte (ordinanza n. 34889/2023) costituiscono “prova privilegiata” dell’intesa vietata.

Ergo il riferimento esterno all’EURIBOR è nullo, senza necessità di ulteriore prova.

Il concetto è ben esposto nelle recentissime e innovative sentenze della Corte di Appello di Cagliari (Dr.ssa Maria Teresa Spanu) le quali hanno accolto la domanda di nullità dei tassi quotati dall’EMMI dal 29/09/2005 al 30/05/2008, essendo l’art. 101 TFUE “disposizione di ordine pubblico vincolante per gli Stati dell’Unione Europea -. V. Dir. 2014/104/UE-, che trova riscontro nel diritto interno italiano all’art. 2 L. 287/1990”.

In specie ha osservato la Corte che “la decisione della CE è prova idonea a supportare la domanda volta alla declaratoria di nullità dei tassi manipolati ed alla rideterminazione degli interessi nel periodo coinvolto dalla manipolazione – sulla vincolatività della decisione della Commissione v. art 16 Reg CE n. 1/03-. Il primo comma dell’art. 1418 cc ha concepito un sistema aperto di nullità per violazione di norma imperative in cui rientra qualsiasi assetto contrattuale che si ponga in contrasto con precetti inderogabili, quale certamente la disciplina posta a tutela della libera concorrenza”; prosegue a pag. 10 affermando che “non si discute della nullità della clausola sugli interessi al momento del perfezionamento del contratto bensì della perdurante validità / efficacia o inefficacia in senso stretto della determinazione convenzionale degli interessi che si accerti divenuta in contrasto con la norma imperativa in materia di tutela della libertà del mercato e della concorrenza. Se nella fase dinamica del rapporto le condizioni stabilite in contratto vengono a porsi in contrasto con una disposizione inderogabile, deve quanto meno riconoscersi un’inefficacia in senso stretto della relativa clausola se non addirittura l’inefficacia derivante da nullità sopravvenuta, intesa quale contrarietà -parziale- del contratto prodotta durante il suo svolgimento per effetto di un fatto sopravvenuto che  impone la verifica della tenuta di validità delle condizioni originariamente pattuite proprio in considerazione della prestazione periodica del pagamento degli interessi…nella specie la contrarietà alla norma imperativa non si è concretata al momento della stipulazione del contratto, risalente al 2004, ma nel momento in cui il tradens aveva ricevuto interessi frutto di un’intesa nulla sopraggiunta che aveva reso invalida la clausola di determinazione del tasso corrispettivo anche agli effetti di cui all’art. 1284 c. 3 cc”. Conclude la Corte affermando (pag. 11) “non è fuor d’opera richiamare la decisione resa dalla S.C. a SS.UU. n. 41994/2021” la quale ha compreso tra le categorie risarcibili anche i consumatori ed anche mediante azioni diverse da quella risarcitoria.

Tuttavia, è doveroso osservare come sia possibile comunque dimostrare che anche per il mercato dei mutui vi sia stata una restrizione della capacità di scelta da parte dei contraenti.

Anzi tutto, a ricordare che in ragione della manipolazione dei tassi EURIBOR vi siano state conseguenze negative sulla concorrenza è la stessa Banca d’Italia, la quale ha analizzato nei suoi “Quaderni” (https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2012-0125/QEF_125.pdf ) il mercato dei mutui dal 2004 al 2011.

Afferma la Banca d’Italia (pagina 21) che “in Italia il contratto di mutuo più diffuso è quello a tasso variabile. L’incidenza di questi contratti si era tuttavia ridotta nel corso del 2007- 2008, in corrispondenza di un sostenuto incremento del tasso Euribor e del conseguente calo dello spread fra i tassi fissi e variabili sui mutui – fig. 12-. Come evidenziato in alcuni lavori empirici basati sulla IBF, la scelta della tipologia di tasso da parte dei mutuatari sembra dipendere principalmente dall’ammontare iniziale delle rate, che è tanto più elevato per i mutui a tasso fisso rispetto a quelli a tasso variabile, quanto è più alto il differenziale tra i due tassi al momento della stipula del contratto. Quando il divario ha toccato il punto minimo di 2 decimi di punto nel secondo semestre 2008, la quota dei nuovi mutui a tasso fisso ha raggiunto il 67 per cento del totale. Successivamente, a seguito del marcato calo dei tassi a breve e il conseguente aumento del differenziale, l’incidenza dei mutui a tasso fisso di è nuovamente ridotta al 19 per cento nel 2011”.

È evidente, quindi, che la manipolazione (al rialzo) dei tassi EURIBOR ha comportato una alterazione della concorrenza, spingendo la maggior parte dei futuri mutuatari a scegliere contratti a tasso fisso, in luogo di quelli a tasso variabile.

La restrizione della concorrenza e della capacità di scelta dei mutuatari, del resto, è da intendere in senso ampio, non comprendendo solo coloro che hanno scelto un tasso variabile, ma l’intero insieme dei mutuatari che hanno visto ristretta e condizionata la propria capacità di scelta, essendo stati indotti a stipulare un tasso fisso a variabile in tasso di ingresso.

Vi è ulteriore profilo della pronuncia del Tribunale di Torino non condivisibile.”due sono pertanto le primarie differenze tra il caso all’odierno esame e i precedenti riguardanti lo schema di fideiussione omnibus raccomandato dall’ABI alla generalità delle banche aderenti e da queste volontariamente adottato: (1) manca l’intervento di un ente esponenziale degli interessi dell’intero ceto bancario; (2) manca altresì una posizione collettiva comune all’intero ceto bancario nei confronti della clientela. Pertanto, non è possibile qualificare come contratto “a valle”, agli effetti della repressione dell’intesa anti-concorrenziale, qualsiasi contratto di credito in corso di esecuzione negli anni tra il 2005 e il 2008 e parametrato all’Euribor, a prescindere dall’accertamento – decisivo – dell’adesione dell’impresa bancaria all’intesa per la manipolazione del prezzo“.

Dice bene il Tribunale, che il caso che occupa è diverso da quello delle fideiussioni ABI, ma non nel senso in cui lo declina.

Qui non vi è necessità di sorta né di dimostrare l’esistenza di un “ente esponenziale” (che pure, per vero, c’è ed è l’organismo che rileva l’EURIBOR), ma soprattutto non serve provare una posizione collettiva.

Una volta ritenuto che detto indice esterno sia nullo ex art. 2 L. 287/1990 e art. 101 TFUE tutti i contratti che vi fanno riferimento, in se esenti da nullità, diventano per relationem nulli ex artt. 1346 e 1418 cc.

Alla luce di tutto quanto sopra non si può che ritenere corretta l’ordinanza n. 34889/2023 del S.C. ove afferma che:

1) già con la sentenza a Sezioni Unite n. 2207/2005 aveva affermato che la Legge Antitrust fosse invocabile da chiunque avesse subito un pregiudizio per effetto della restrizione della concorrenza, senza distinguere tra azione contrattuale ed extracontrattuale, posizione confermata con la recentissima sentenza n. 4001/2024 per la quale “la legislazione antimonopolistica ha come destinatari solo gli imprenditori commerciali di riferimento e non anche i singoli utenti [Cass., Sez. Un., 4/02/2005, n. 2207 (e successiva giurisprudenza conforme)], ove è affermato: la Legge Antitrust 10 ottobre 1990, n. 287, detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza”;

2) che con la sentenza n. 827/1999 aveva già stabilito che fossero rilevanti ai fini della legge Antitrust anche comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”, purché con la partecipazione di almeno due imprese, finalizzati all’alterazione della concorrenza;

3) che pertanto qualunque “forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione della Legge Antitrust;

4) che le decisioni del 4/12/2013 e del 7/12/2016 della Commissione Antitrust della Comunità Europea sono da considerarsi “prove privilegiate” a supporto della domanda volta alla declaratoria di nullità dei tassi manipolati ed alla rideterminazione degli interessi nel periodo coinvolto dalla manipolazione, a prescindere dal fatto che all’intesa illecita avesse o meno partecipato la banca con il quale è stato stipulato il contratto ” a valle” dell’intesa vietata, giacché raggiunta dal divieto di cui all’art. 2 l. n. 287/1990 (c.d. Legge Antitrust) è qualunque contratto o negozio a valle che costituisca applicazione delle intese illecite concluse a monte, come stabilito già dalla sentenza n. 29810/2017 della Corte di Cassazione.

5) che qualunque contratto o negozio a valle che costituisca applicazione delle intese illecite concluse a monte” sia nullo “a prescindere dal fatto che all’intesa illecita abbia o meno partecipato la banca con il quale è stato stipulato il contratto ” a valle” dell’intesa vietata.

Da ultimo vale osservare che Il Tribunale di Torino ha, infine, erroneamente ritenuto attendibile il parametro EURIBOR, definito come “il tasso di interesse medio applicato da un primario istituto di credito europeo ad altro primario istituto per operazioni di prestito a breve termine in Euro, con scadenza da una a tre settimane e da uno a dodici mesi. Ancorché rilevato da un organismo (EBF) riconducibile al sistema bancario europeo, su segnalazione delle principali banche, Euribor indica anzitutto, convenzionalmente, il rendimento di un impiego non garantito in Euro a breve termine risk free. Tale deve infatti ritenersi il prestito a un soggetto solvibile, o che deve presumersi tale, quale una primaria banca europea. Dato questo punto di riferimento, ogni altro prodotto bancario o finanziario in Euro, di pari durata, offerto che sia da una banca altro intermediario o diverso emittente – notoriamente all’Euribor sono indicizzati oltre a mutui a tasso variabile, derivati e obbligazioni bancarie, anche titoli di Stato (in Italia i CCT Eu) e obbligazioni corporate – definisce il proprio costo, e implicitamente la propria rischiosità, per differenza (spread) rispetto al tasso interbancario. Il tasso finito praticato non è dunque determinato dal solo Euribor, ma da indice + spread. Appare quindi inesatto affermare che Euribor sia frutto di un accordo di cartello, per fissare “direttamente o indirettamente i prezzi”. Infine, come accennato, alcune cautele presidiano Euribor contro il rischio di manipolazioni ad opera di uno o più degli attori del mercato interbancario: poiché la segnalazione avviene su base volontaria, il tasso non viene rilevato se non partecipano almeno 12 banche (il campione risulterebbe scarsamente rappresentativo) e sono tagliati fuori dal computo il 15% dei valori più alti e più bassi“.

Come è agevole verificare dai Bollettini Statistici della Banca d’Italia le banche effettuano la raccolta non in base ai tassi EURIBOR ufficiali, ma ai (decisamente) minori tassi applicati ai depositi su c/c, ed il fatto che l’EURIBOR non sia il tasso al quale le banche effettuano la provvista è confermato dalla stessa EMMI (che, vale la pena precisarlo, è un ente di diritto privato belga) la quale nel Programma PLV  (“PRE – LIVE VERIFICATION PROGRAM”) del 4/5/2017 (consistente nella quotazione, per 6 mesi -dal 1/09/2016 al 28/02/2017- del tasso EURIBOR facendo la media dei tassi realmente applicati sul mercato interbancario europeo da 31 banche primarie) ha dovuto confessare che a causa dell’esiguo numero di transazioni e della loro elevata volatilità (ossia le cospicue differenze di tasso da una all’altra) non era stato possibile ottenere dati (tassi) stabili e che, soprattutto, i tassi relativi alle transazioni effettive erano enormemente diversi da quelli EURIBOR ufficiali.

Contrariamente a quanto afferma il T. di Torino i tassi EURIBOR non sono “risk free” in quanto 1) la raccolta avviene a tassi inferiori e sono quindi questi a dover essere considerati “risk free“;

2) non avvengono scambi di denaro tra banche primarie non esistendo di fatto un mercato interbancario.

E’ infine del tutto errata l’affermazione per la quale “sono tagliati fuori dal computo il 15% dei valori più alti e più bassi” in quanto esaminando i Codici di Condotta emanati tempo per tempo dall’EMMI sono eliminate solo un numero predeterminato di quotazioni, e non tutte quelle anomale.

Ne caso partecipino come oggi alla quotazione n. 20 banche sono eliminate le 3 quotazioni più alte e le 3 più basse, ed in questo modo, come provato dall’EBA (European Banking Authority, l’Organismo dell’ UE che dal 1/1/2011 sorveglia il mercato bancario europeo, ed alla quale partecipa anche la Banca d’Italia) in tal modo le banche del “panel” possono manipolare i tassi finali inviando all’EMMI quotazioni anomale, come accertato nel “Report on the administration and managemend of Euribor” pubblicato l’11/1/2013.

Facendo un esempio pratico il 10/7/2012, un primario Istituto di credito italiano ha fornito una quotazione dell’EURIBOR a 2 settimane pari al 1,17%, invece di un più probabile 0,17%, congruo sia con le quotazioni del giorno delle altre banche, sia con le quotazioni precedenti.

In tal modo la quotazione fornita da Intesa è stata ovviamente scartata, ma ha permesso di rientrare nella media alla prima di quelle che altrimenti sarebbe rientrata nelle 3 superiori.

Come afferma l’EBA se l’asserito errore di digitazione fosse stato rilevato e corretto, il tasso ufficiale EURIBOR a 2 settimane sarebbe stato pari al 0,170% e non pari al 0,171% ed è quindi provato che Intesa abbia volontariamente deciso di far aumentare il tasso EURIBOR a 2 settimane quotato il 10/7/2012, si noti bene ben oltre il periodo durante il quale è stato accertato un accordo di cartello finalizzato alla manipolazione dei tassi EURIBOR.

Contrariamente a quanto crede il Tribunale di Torino il sistema di quotazione dei tassi EURIBOR è, quindi, tutt’altro che perfetto, essendo suscettibile di essere manipolato anche da una sola banca mediante quotazioni anomale, in modo peraltro perfettamente lecito.

 

 

 

 

 

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[1] Il riferimento è a Trib. Torino, Sez. I, 29 gennaio 2024, già commentata su questo Portale, con nota di A. Zurlo, Mutuo a tasso variabile indicizzato all’EURIBOR con ammortamento “alla francese”: il Tribunale di Torino nemesi della Cassazione, 15 febbraio 2024, Mutuo a tasso variabile indicizzato all’EURIBOR con ammortamento “alla francese”: il Tribunale di Torino nemesi della Cassazione. – Diritto del Risparmio.

 

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