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La Cassazione ha affrontato il tema del credito portato in esecuzione dall’originario creditore, in seguito all’opposizione ad un atto di precetto.

La vicenda trae origine dalla stipulazione di un contratto di cessione del credito, ritualmente notificato al debitore, con il quale veniva ceduto il credito relativo alle spese di lite derivanti dalla Sentenza del Tribunale di Gorizia n. 247/2012.

Successivamente, il cedente ed il cessionario decidevano di risolvere, per mutuo consenso, il contratto di cessione senza, tuttavia, notificare la scrittura privata al debitore. 

L’originario creditore decideva, quindi, di recuperare il proprio credito e notificava atto di precetto al debitore, senza menzionare nell’atto lo scioglimento del contratto di cessione. Quest’ultimo si opponeva ex art. 615 c.p.c. al precetto, eccependo la carenza di titolarità del credito in capo all’intimante opposto.

Il Tribunale di Treviso, dapprima, e la Corte d’Appello di Venezia poi, davano ragione al debitore opponente. 

Il creditore opposto, pertanto, proponeva ricorso per Cassazione. 

Nello specifico, la Corte di Cassazione, nella pronuncia in esame, si è soffermata sulla nullità del contratto di cessione del credito, per violazione dell’art. 1261 c.c., il quale pone dei limiti alla cessione del credito, nonché sulla lamentata violazione degli artt. 1371 e 1372 c.c. poiché la Corte d’Appello non avrebbe considerato che, per effetto della risoluzione del contratto di cessione, il ricorrente sarebbe rimasto l’unico titolare del credito azionato, indipendentemente dal momento in cui il predetto accordo di retrocessione fosse intervenuto.

Per quanto concerne la nullità del contratto di cessione ex art. 1261 c.c. è bene precisare che la norma sancisce il divieto di cessione, a favore di determinate persone di crediti e diritti, derivanti da una controversia dinanzi all’autorità giudiziaria. Il Collegio, però, nel caso di specie ha ritenuto di non dover applicare tale disposizione, poiché il credito è il risultato di una controversia definita con sentenza passata in giudicato. 

Mentre sulla lamentata violazione degli artt. 1371 e 1372 c.c. la Corte Suprema ha chiarito che, ancorché la scrittura privata non sia stata menzionata nell’atto di precetto notificato, era comunque stata prodotta nel giudizio di opposizione al precetto che, come tale, è un vero e proprio giudizio di cognizione. 

L’opposizione all’esecuzione ai sensi dell0 art. 615 c.p.c., infatti, dà luogo ad un vero e proprio giudizio di cognizione ed in quanto tale, il creditore può proporre tutte le domande intese a rimuovere ogni ostacolo giudico alla realizzazione del proprio diritto, anche eventualmente dedurre, in via riconvenzionale, un’ulteriore ragione creditoria che possa consentire, in quella sede, la formazione di un nuovo titolo esecutivo in sostituzione od in aggiunta a quello per cui si procede. 

Per i motivi sopra esposti, la  Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Venezia ed ha rinviato alla medesima per il riesame, enunciando il seguente principio di diritto: “Poiché l’opposizione al precetto costituisce giudizio di cognizione, tutte le vicende relative al credito portato in esecuzione, ancorché successive alla data di notificazione del predetto atto, devono essere considerate dal giudice dell’opposizione, il quale è tenuto a procedere ad una verifica dell’esistenza del credito stesso, e del suo esatto ammontare, con riferimento alla data della decisione del predetto giudizio di opposizione. Ne consegue, che il creditore opposto, ove non abbia specificato nel precetto la fonte del suo credito, è legittimato a fornire detta specificazione nel corso del giudizio di opposizione al precetto, documentando l’esistenza e l’importo attuale del credito stesso; il giudice dell’opposizione, in tal caso, è tenuto a tener conto delle deduzioni e allegazioni fornite dall’opposto nel corso del giudizio di opposizione“.

 

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