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Il terzo, prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile, può chiedere al giudice della cognizione la restituzione del bene sequestrato e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame. Qualora sia stata erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, questa va qualificata come appello e trasmessa al tribunale del riesame.

E’ questo il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza in esame, la quale giunge a comporre il contrasto giurisprudenziale che si era delineato in ordine agli strumenti di tutela del terzo intestatario del bene confiscato, in pendenza del giudizio di cognizione cui sia rimasto estraneo, non avendo per ciò stesso questi la legittimazione ad impugnare la sentenza per il capo riguardante la misura di sicurezza patrimoniale, a norma dell’art. 579 c.p.p., comma 3.

Orbene, secondo la giurisprudenza prevalente, cui avevano aderito il giudice di merito nella vicenda che ha occasionato la pronuncia della Suprema Corte e il Sostituto Procuratore Generale della stessa Corte nella sua requisitoria scritta,  il terzo intestatario del bene (oggetto di sequestro preventivo e successivamente) confiscato, che sia rimasto estraneo al giudizio di cognizione e intenda far valere la titolarità del bene, può, anche prima della definitività della sentenza che ha disposto la confisca, proporre l’incidente di esecuzione, per chiedere la restituzione del bene confiscato allo stesso giudice della cognizione; più precisamente, può presentare richiesta di restituzione ex art. 263 c.p.p. al giudice procedente e questi decidere, senza formalità di procedura, in applicazione analogica degli artt. 676 comma 1 e 667 comma 4 c.p.p., con ordinanza de plano; ordinanza che, comunicata al pm e notificata all’interessato, è suscettibile di opposizione, innanzi al medesimo giudice, e, successivamente, di ricorso per cassazione avverso la decisione sull’opposizione.   

L’applicazione analogica, in sede di cognizione, di una procedura tipica della fase esecutiva si giustifica, in tesi,  per un verso, per la finalità di assicurare tempestiva e sostanziale tutela al terzo, per altro verso per la finalità di ovviare ad eventuali future criticità interessanti l’acquisizione pubblica del bene.

Un orientamento minoritario ha, tuttavia, sottolineato che l’eventuale riconoscimento del diritto del terzo a reclamare con un separato iter procedimentale la restituzione della res, anche dopo la pronuncia di primo grado ma prima del passaggio in giudicato della sentenza che ha disposto la confisca, potrebbe determinare una situazione paralizzante di contrasto con la pronuncia definitiva scaturente dall’esito del processo di cognizione; secondo questa impostazione, il terzo non rimarrebbe comunque privo di tutela, atteso che lo stesso,  al fine di ottenere la restituzione di quanto in sequestro, potrebbe, durante le indagini preliminari e nel corso del giudizio di primo grado, chiedere la restituzione della cosa, di cui riuscisse a dimostrare la proprietà, al giudice procedente; dopo la pronuncia della sentenza definitiva di condanna, invece, al giudice dell’esecuzione, mediante incidente di esecuzione.

L’esistenza di un tale contrasto interpretativo ha comportato la rimessione alle Sezioni Unite della questione preliminare alla decisione del ricorso per cassazione, proposto da terzi estranei al giudizio di cognizione, avverso l’ordinanza con la quale il giudice territoriale aveva respinto l’opposizione al diniego di restituzione delle vantate quote societarie; questione così sintetizzata: “Se il terzo, rimasto estraneo al giudizio di cognizione, proprietario del bene del quale sia stata disposta, con sentenza, la confisca, sia legittimato a promuovere incidente di esecuzione prima della irrevocabilità della sentenza stessa”.


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Le Sezioni Unite hanno escluso che, in pendenza del giudizio di cognizione, si possa instaurare un procedimento a questo “parallelo”, quale sarebbe quello insaturato con l’incidente di esecuzione: ciò, per l’evidente possibile rischio di decisioni contrastanti assunte dal medesimo giudice, oltre al fatto che si tratterebbe di percorso procedurale anomalo in quanto la competenza del giudice dell’esecuzione è competenza funzionale, venendo l’incidente di esecuzione attivato per l’esecuzione e nell’esecuzione della sentenza irrevocabile.

L’attivazione dell’incidente di esecuzione nella sola fase sua propria non lascerebbe tuttavia il terzo privo di tutela, ad avviso della Corte, durante il corso del procedimento di cognizione. Perchè questi potrebbe adire il tribunale del riesame ai sensi dell’art. 322-bis c.p.p., non solo nella fase delle indagini preliminari e fino alla pronunzia della sentenza di primo grado,  ma anche dopo la sentenza non definitiva. E ciò in quanto detta pronunzia, proprio per la sua non definitività, non muterebbe il titolo giuridico dell’ablazione, che continuerebbe ad essere rappresentato dall’originario provvedimento di sequestro, sulla scorta del quale il terzo è stato spossessato della disponibilità del bene. La pronunzia che ne potrebbe disporre il trasferimento di proprietà allo Stato è infatti condizionata dal passaggio in giudicato oltre che dalla conferma della statuizione di confisca.

Dunque, secondo le Sezioni Unite, il terzo, rimasto estraneo al giudizio di cognizione può far valere il proprio diritto alla restituzione dei beni che gli sono stati cautelativamente sottratti a mezzo sequestro. Non può farlo impugnando il capo della sentenza che attiene alla confisca ex art. 579 c.p.p., comma 3, sia perchè non è parte, sia perchè egli non può stigmatizzare la confisca eventuale del bene (ma solo il diniego alla restituzione dello stesso, vincolato in base al provvedimento di sequestro). Può farlo, invece, mediante l’appello cautelare, che costituisce l’unico rimedio attivabile per contestare il vincolo gravante sui beni fino al passaggio in giudicato della confisca, momento a partire dal quale egli è legittimato a contestare il merito del provvedimento ablativo mediante la proposizione di apposito incidente di esecuzione.

D’altronde – osserva la Corte –  l’appello al tribunale del riesame è rimedio di carattere generale per tutti i provvedimenti diversi da quello impositivo della misura e la natura incidentale del procedimento cautelare consente di ritenere che esso possa essere attivato anche nel corso del processo di cognizione, poiché lo stesso infatti non interferisce con il thema decidendum rimesso al giudice, ma incide su un aspetto parentetico, che non vincola e non rischia di contraddire la decisione definitiva del giudicante.  

Qualora – conclude la Corte – al posto dell’appello cautelare, sia proposto erroneamente l’incidente di esecuzione, come era avvenuto nel caso al vaglio di legittimità, l’incidente di esecuzione deve essere riqualificato correttamente come appello ex art. 322 bis c.p.p. e trasmesso al relativo giudice. Ciò in quanto anche se l’opposizione ai provvedimenti del giudice dell’esecuzione non ha natura di mezzo di impugnazione, l’art. 568 c.p.p., che sancisce l’ammissibilità della impugnazione indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dalla parte che l’ha proposta, costituisce espressione di un più ampio principio, in base al quale spetta al giudice dare l’esatta qualificazione dell’atto sottoposto al suo esame e, ove sia incompetente, trasmettere gli atti a quello che ritiene essere competente.  

Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte ha enunciato il principio di diritto sopra riportato.

(Altalex, 20 novembre 2017. Nota di Anna Larussa)

 

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