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E’ di pochi giorni fa la notizia che l’Antitrust ha aperto un’instruttoria contro tre grandi istituti di credito italiani con l’accusa di aver applicato l’anatocismo bancario, ovvero il calcalo degli interessi sugli interessi sui mutui di famiglie e imprese. Una pratica che uscita dalla porta con la legge di stabilità del 2014 è entrata dalla finestra con la riforma del 2016, pero’ solo previo consenso del cliente. Fermo restando il divieto che non permette di oltrepassare la linea rossa dell’usura.

Il sospetto, ancora tutto da verificare, è che Banca Nazionale del Lavoro, Intesa Sanpaolo e Unicredit abbiano applicato l’anatocismo bancario (facendo pagare interessi sugli interessi dei mutui) anche prima dell’entrata in vigore dell’art 17 bis del d.l n 18/2016 – che ammette questa pratica in determinate circostanze – e quando ad essere vigente era la normativa presente nella legge di stabilità 2014 che invece la vietava. Dopo la riforma, invece, i tre istituti avrebbero continuato a riscuotere interessi sugli interessi mettendo in pratica delle modalità “aggressive” per spingere i clienti ad autorizzare l’addebito.

Anatocismo quando è consentito?

Si puo’ definire anatocismo bancario la produzione di interessi da parte di interessi “capitalizzati” ovvero scaduti e aggiunti al capitale. Gli interessi prodotti dalla capitalizzazione di interessi vengono definiti interessi anatocistici. Per fare un esempio, se si ottiene un prestito al 3% su una somma di 100 e non lo si restituisce alla scadenza prevista, a partire dall’anno successivo, applicando l’anatocismo, gli interessi si calcolano non più su 100, ma sulla somma tra capitale e interessi, quindi su 103.

La disciplina dell’anatocismo trova fondamento nell’ art. 1283 del codice civile, il quale sancisce che, in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziaria o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. Ma spesso proprio il termine “in mancanza di usi contrari” ha portato gli istituti di credito ad applicare in maniera arbitraria l’anatocismo bancario.

Legge di stabilità 2014, il divieto dell’anatocismo

Un momento di svolta è arrivato pero’ con due sentenze della Cassazione del 1999, che hanno decretato che la deroga contemplata nel citato articolo del codice civle, in “mancanza di usi contrari”, non si riferisce agli “usi negoziali”, ovvero le norme previste dalla banche, bensì agli “usi normativi”, ovvero quanto previsto da specifiche norme di legge.

A intervenire è stata quindi la legge di stabilità 2014, che ha modificato l’art 120, comma 2, del D.lgs 1 settembre 1993, n 385 (testo unico bancario) introducendo il divieto espresso dell’anatocismo bancario: “Gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”

Il ritorno dell’anatocismo e il limite dell’usura

Un giro inaspettato nella travagliata storia dell’anatocismo è avvenuto con il decreto salva banche del 2016, che all’articolo 17 bis ” gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido”,  che ha di fatto rintrodotto l’anatocismo, con il rischio, denunciato da alcune associazioni di consumatori di uno sconfinamento nell’usura.

Nella pratica, a partire dalla riforma citata, l’anatocismo bancario è possibile solo quando venga espressamente dichiarato nel contratto di finanziamento firmato dal cliente consenziente. Anche in questo caso pero’, la somma tra tassi di interesse del mutuo e tassi di interesse di mora non puo’ superare i limiti previsti dalla legge, ovvero la cosiddetta soglia anti-usura. Dal 14 maggio 2011 il limite oltre il quale gli interessi sono ritenuti usurari è calcolato aumentando il Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali. Il TEGM è rivelato trimestralmente dalla Banca d’Italia.

 

 

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