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Nota a Trib. Roma, Sez. XVII, 1 giugno 2021, n. 9865.

di Antonio Zurlo

 

Con riguardo alla dedotta usurarietà degli interessi moratori pattuiti, il Tribunale romano rileva come gli stessi fossero regolati dalla previsione per cui: «In caso di ritardo nel pagamento delle rate, la parte mutuataria è tenuta a corrispondere alla Banca gli interessi di mora al tasso che verrà stabilito trimestralmente (dal 1 gennaio al 31 marzo, dal 1 aprile al 30 giugno, dal 1 luglio al 30 settembre e dal 1 ottobre al 31 dicembre), aumentando del 50% (cinquanta per cento) e arrotondando il risultato allo 0,05 (zero virgola zero cinque) inferiore, il tasso effettivo globale medio degli interessi corrispettivi pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ai sensi della legge 108/96 per la categoria di operazioni qualificate come “mutui”». In altri termini, la pattuizione prevedeva che il saggio moratorio fosse pari alla soglia del tasso usura relativa agli interessi corrispettivi, arrotondata allo 0,05 inferiore. Dato l’arrotondamento de quo, il tasso di mora contrattualmente previsto è destinato a essere sempre formalmente minore del tasso soglia rilevato per gli interessi corrispettivi. Nonostante tale evidenza, parte attrice, per sostenere la tesi dell’usurarietà del tasso di mora contrattualmente stabilito, ha prodotto una perizia di parte, con cui il consulente esponeva la teoria del c.d. T.E.MO, secondo cui, rappresentando l’ipotesi di ritardo un ritardo di 29 giorni sulla prima rata di mutuo, ha mutato inopinatamente la base di calcolo della mora (dalla rata intera alla sola quota capitale) nelle singole fasi del processo di interazione estimativa del tasso determinando la mora in euro e in valore assoluto, moltiplicando il tasso per l’intera rata impagata, e determinando il c.d. tasso effettivo di mora dividendo la somma per interessi moratori per la sola quota capitale. In altri termini, effettuando, in una prima fase, il calcolo su una cifra costituita dall’inadempimento dell’intero e, in una seconda, sulla sola quota capitale, la CTP ha affermato uno pseudo‐principio di matematica finanziaria attraverso il quale qualsiasi piano di ammortamento c.d. “alla francese” diverrebbe usurario nel tasso di mora. Il conto corretto avrebbe presupposto che il saggio effettivo di mora fosse, invece, determinato assumendo la reale base di calcolo degli interessi moratori, che è l’intera rata insoluta. Pur volendo accedere alla teoria del c.d. T.E.MO., il calcolo, se correttamente impostato avrebbe dato un valore massimo del 8,43%, comunque inferiore al tasso soglia usura di riferimento.

A giudizio del Tribunale, la formula del c.d. T.E.MO., proposta dal CTP e condivisa «in maniera alquanto disinvolta» da parte di alcuni professionisti, calcolando sull’intera rata la somma per mora in valore assoluto e derivando il tasso moratorio da detta somma raffrontata con la sola quota capitale, si rivela un’equazione «che immancabilmente genera una apparenza d’usura nella pressoché totalità dei piani di ammortamento alla francese in essere. Usando le parole del ctu questa sarebbe un miraggio d’usura, un errore della percezione generato dalla sostituzione di una base di calcolo con l’altra. Ne consegue, nel caso di specie, l’assenza di qualsivoglia pattuizione usuraia in merito al tasso d’interesse moratorio.

Del pari, le doglianze relative alla presenza di fenomeni anatocistici, connaturati all’utilizzo dell’ammortamento c.d. “alla francese” non possono essere condivise. Invero, il CTU ha chiarito come la tesi per cui l’ammortamento c.d. “alla francese” presenti elementi anatocistici si basi fondamentalmente sul tentativo di ricondurre il piano d’ammortamento (che è calcolato sulla base della legge dell’interesse composto) alla legge dell’interesse semplice: ciò è, pur tuttavia, il frutto di una impostazione metodologica erronea[1]. Segnatamente, il CTU ha spiegato come l’utilizzo del regime di capitalizzazione composta, per una durata superiore al singolo periodo di capitalizzazione, determini una crescita esponenziale del debito per interessi, ma ciò non equivale assolutamente all’affermazione per cui gli interessi siano calcolati su altri interessi o che vi sia alcuna forma di anatocismo; difatti, procedendo a una rielaborazione autonoma del piano d’ammortamento c.d. “alla francese”, relativo al mutuo in esame, le quote interessi sono state tecnicamente liquidate moltiplicando il tasso di interesse per il debito residuo tempo per tempo e rata per rata, ragion per cui sono determinate sul solo capitale e mai su altri interessi. Il riscontro matematica ha, quindi, concorso a escludere ogni possibile fenomeno anatocistico.

Da ultimo, con precipuo riferimento alla supposta indeterminatezza del tasso, il CTU, esaminando le condizioni contrattuali, ha verificato che il tasso fosse variabile, ma compiutamente indentificato nel contratto, con esclusione, pertanto, di qualsivoglia meccanismo sostitutivo delle clausole; al contempo, relativamente alla doglianza inerente alla mancata indicazione del TAEG/ISC, a prescindere da ogni osservazione in merito alle conseguenze giuridiche di siffatta omissione, il giudice romano si limita a rilevare che l’obbligo di indicazione nei contratti di mutuo del TAEG/ISC sia stato introdotto a seguito della delibera CICR n. 10688, del 4 marzo 2003[2]. Nulla quaestio nel caso di specie, dal momento che l’obbligo di indicazione dell’indicatore sintetico di costo è decorrente dal 2003, ovverosia in data successiva a quella di stipulazione del contratto di mutuo attenzionato.  

In conclusione, avendo escluso la sussistenza di qualsivoglia patologica manifestazione, la domanda attorea deve essere rigettata.

 

Qui la sentenza.


[1] Più nello specifico, l’ammortamento alla francese si sviluppa in virtù della legge dell’interesse composto, I = C × (1+i)t , che è l’unica legge di capitalizzazione che garantisca l’equilibrio finanziario nel medio-lungo periodo e che si differenzia sostanzialmente dalla legge dell’interesse semplice, I = C × i × t . Il consulente ha chiarito mediante il ricorso a passaggi matematici non contestati dal consulente di parte attorea, che non ha inviato le proprie osservazioni in merito, e sui quali non può esservi alcun dubbio in ordine alla loro correttezza, che in regime di capitalizzazione semplice l’andamento del montante è rappresentato da una retta e che la maturazione del debito per interessi è costante per tutto il periodo di riferimento mentre l’andamento del montante in regime di capitalizzazione composta è rappresentato da una curva esponenziale e la maturazione del debito è funzione crescente del periodo trascorso.

[2] Disposizione che prevede testualmente che: «La Banca d’Italia individua le operazioni e i servizi per i quali, in ragione delle caratteristiche tecniche, gli intermediari sono obbligati a rendere noto un “Indicatore Sintetico di Costo” (ISC) comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente, secondo la formula stabilita dalla Banca d’Italia medesima.».


 

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