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Come ogni anno finanziario del Paese, da ottobre a dicembre si muove l’intera macchina politico-istituzionale per varare la legge di bilancio c.d. Manovra per l’anno che verrà.

A prevederlo è l’art. 7 della legge 196/2006 che imprime di scadenza le mosse del Governo il quale, così facendo, mette il fiato sul collo al Parlamento e, prima di tutto, alla propria maggioranza.

A leggere la bozza deliberata da Palazzo Chigi unitamente al disegno di legge di riforma dello Statuto del Contribuente viene da pensare a quanto siano infuocate le parole e quanto siano duri i pensieri di Giorgia Meloni una volta che i media hanno evidenziato la questione dei pignoramenti esattoriali facili nei confronti dei cittadini.

E mettendosi per un attimo nei panni del Presidente del Consiglio non si può che affermare come non abbia tutti i torti per almeno due motivi:

  • sul piano politico, perché storicamente il centrodestra difficilmente ha dimostrato di volere privare di dignità il rapporto tra contribuente e pubblica amministrazione;
  • sul piano giuridico, perché ciò implicherebbe una valutazione a monte del senso della privacy per i cittadini dotati di conto corrente.

Al netto di questa breve premessa, ci sono però altre dinamiche che potrebbero far innervosire molto di più la Premier rispetto al come il Mef, oggi in quota Lega, abbia ragionato su compensazioni erariali, antiriciclaggio, aggiornamento dei valori catastali, ecc.

La fibrillazione maggiore, si immagina, arriverà comunque quando il Parlamento dovrà discutere la Manovra su cui, se si metterà la fiducia, si rischia il cortocircuito successivo (cioè quando entreranno in vigore le disposizioni) su diversi punti.

PUNTO 1 legge Pittella – neanche un rigo del testo della Manovra è dedicato al doveroso intervento sulla norma n. 215/2021 che da due anni sta colpendo migliaia di contribuenti nonostante la sentenza della Corte Costituzionale n. 190/2023. In pratica chi è sottoposto alla legge Pittella, pur avendo vinto la causa contro l’Agenzia delle Entrate in primo grado, si è trovato e si troverà con un pugno di mosche in mano dopo anni di sacrifici legali per affrontare la trafila giudiziale.

Il perché? Perché un giorno lo Stato italiano si è “autoassolto” dall’aver effettuato provvedimenti e attività illegittime nei confronti dei contribuenti tanto da dichiarare inammissibili le cause proposte avverso i c.d. “estratti di ruolo” dell’Agenzia delle Entrate Riscossione. A dire il vero detti atti non erano impugnabili per legge (art. 19 D.lgs 546/92) e non costituiscono titolo esecutivo, ma proprio perché è così che i contribuenti ricorrevano al Giudice tributario per far accertare l’inesistenza di titoli esecutivi esattoriali una volta conosciuta la pendenza tramite la notizia degli estratti di cui sopra.

Ad oggi migliaia di contribuenti devono aspettare l’inizio delle azioni esecutive per difendersi, ma con il rischio non solo di subire pignoramenti ingiusti, ma anche istanze di fallimento oppure ancora i c.d. ordini di pagamento dell’Agente della riscossione verso i debitori del contribuente. Quest’ultimo aspetto si collega alla Manovra 2024 proprio in relazione all’art. 23 sui “pignoramenti facili” di cui si parla più avanti.

 

PUNTO 2 pignoramenti facili – è l’art. 23, co. 13, della Manovra 2024 che inserirebbe una nuova disposizione nel testo del DPR 602/73.

Ed è la norma che più di tutte ha fatto innervosire nelle ultime ore Giorgia Meloni a tal punto da dichiarare pubblicamente il personale disappunto invitando, implicitamente, i parlamentari di maggioranza a non farla passare.

In pratica il Governo introdurrebbe una sorta di “verifica preventiva di giacenza sul conto corrente” del contribuente tanto che il testo della Manovra 2024 riporta testualmente “prima di procedere al pignoramento dei conti correnti rinvenienti dalla consultazione dell’archivio idei rapporti finanziari, l’agente della riscossione può, in fase stragiudiziale, accedere, mediante collegamento telematico diretto, alle informazioni relative alle disponibilità giacenti dei predetti conti correnti”.

Si colgono, di tutta evidenza, storture:

  • se l’Agenzia deve usare lo strumento prima di procedere al pignoramento, deve consultare l’Anagrafe tributaria che, tuttavia, osserva l’art. 15 della legge 605/1973 (“I dati e le notizie raccolti dall’anagrafe tributaria sono sottoposti al segreto d’ufficio”);
  • i dati che l’Agenzia può usare sono quelli di raccolta obbligatoria posti in evidenza per legge ovverosia quanto prescrive l’art. 7, co. 5, DPR 605/1973 (“Le aziende, gli istituti, gli enti e le società devono comunicare all’anagrafe tributaria i dati e le notizie riguardanti i contratti di cui alla lettera g-ter) del primo comma dell’articolo 6” cioè quelli assicurativi, gas, luce, telefonia, ecc., ma non bancari);
  • se la verifica preventiva può esser fatta solo in via stragiudiziale, allora, va inteso il senso della norma perché delle due l’una: o i dati di giacenza non possono essere usati ai fini contenziosi una volta che il contribuente impugni il pignoramento oppure è l’Agenzia che non può usare la fonte di giacenza una volta che scelga di procedere con l’espropriazione forzata.

In conto c’è quindi da considera che la norma non è chiara. Anzi.

Se l’obiettivo del legislatore è far sì che l’Agenzia sappia a monte della giacenza per effettuare un pignoramento con le modalità dell’ordine di pagamento al terzo (come ad esempio una banca) si rischia di generare due violazioni:

  • la disparità di trattamento tra contribuenti, perché colui che ha moneta viene bloccato mentre il soggetto che non ha moneta su conto corrente, ma ad esempio su altri strumenti finanziari (per assurdo il bitcoin) non verrà toccato;
  • il principio di segretezza bancaria e di proporzionalità della ricerca informativa (già sancito a livello comunitario peraltro; ciò esporrebbe l’Italia a sanzioni per violazione dei diritti dell’Unione Europea).

Se la Manovra 2024 verrà approvata così com’è, allora, piuttosto che fare pignoramenti attingendo a strumenti sproporzionati rispetto al fine si potrebbero incentivare le compensazioni.

Cosa però che, come si vedrà al punto successivo, rischia di impalare il Paese riguardo ai contribuenti che hanno fatto fronte da soli al periodo Covid.

 

PUNTO 3 compensazioni vietate – è sempre l’art. 23 della Manovra 2024 ad esser sotto lente d’ingrandimento perché si porrebbe, di fatto, in contrasto non solo con le norme del codice civile riguardo all’estinzione dei debiti, ma soprattutto con la riforma DPR 602/1973 (art. 28 bis, ter, quater e quinquies) che consente la c.d. compensazione volontaria tra Agenzia entrate e cittadino.

Nel testo della Manovra, in pratica, si vorrebbero vietare le compensazioni tra crediti del cittadino e debiti che sforano la spoglia di euro 100.000,00. Attenzione: si tratta solo dei contribuenti le cui partite debitorie sono AFFIDATE IN CARICO all’Esattore (nulla invece per i non affidati).

Tale divieto, ad ogni modo, non tiene conto della proporzione e storia di un soggetto come ad esempio la dimensione aziendale (nel senso che centomila euro per un’azienda media sono un volume d’affari diverso rispetto ad un’azienda piccola) nonché la fase pandemica che per molti ha significato non ricevere ristori adeguati o non riceverne affatto.

Il punto di fondo rimane comunque un altro: perché se il privato vanta credito nei confronti dello Stato e quest’ultimo ne vanta a sua volta non si può compensare come tutti gli altri cittadini o soggetti produttivi del Paese? È insita la disparità di trattamento. Con l’ulteriore inconciliabilità con lo Statuto del Contribuente (volutamente derogato dal testo della Manovra) di portata costituzionale e che lo stesso Governo vorrebbe modificare con disegno di legge collegato alla Manovra 2024.

Il rischio fallimenti per le imprese messe all’angolo è quantomai evidente.

 

PUNTO 4 (responsabilità antiriciclaggio) – un’ultima valutazione merita l’art. 22 della Manovra. Il Governo vorrebbe modificare la normazione sull’antiriciclaggio ampliando le responsabilità informative a cui è tenuto il professionista. Nessuno, difronte alla necessità di migliore garanzia della salubrità del sistema economico, si tirerebbe indietro rispetto ai doveri per legge.

C’è un però.

Con il testo si vorrebbe introdurre la “responsabilità al buio” del professionista; testualmente si legge che “resta ferma la responsabilità del professionista per l’adempimento dell’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette anche nel caso di mancata ricezione dell’avviso”.

La domanda sorge spontanea: che potere ha il Governo per giudicare la responsabilità di un soggetto (cosa che spetta alla magistratura) che magari non avendo ricevuto apposita comunicazione potrebbe dimostrare la propria discolpa con verifica amministrativa o in sede giudiziale? Si chiamano diritto di difesa e principio del contraddittorio.

La legge deve prevedere la punizione di una condotta dolosa o colposa, non ritenere responsabile a prescindere un soggetto.

Si rischia la deflagrazione dello stato di diritto stesso.

E il nostro Paese su questi principi-base non può essere superficiale.



 

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