Con la sentenza in commento, la Suprema Corte è stata chiamata a decidere in ordine alla validità ed efficacia di un atto di pignoramento trascritto su un diritto di maggior estensione rispetto a quello di cui la debitrice esecutata era titolare.
In particolare, la ricorrente proponeva opposizione ex art. 619 c.p.c. dinanzi al Tribunale competente per territorio avverso l’atto di pignoramento su un immobile di sua proprietà, pervenuto in successione alla già menzionata ed ai figli, a seguito del decesso del coniuge.
La predetta adiva la Suprema Corte asserendo, in particolare, che il cespite pignorato fosse stato destinato ad abitazione coniugale e che pertanto ella, essendo coniuge del de cuius, era divenuta titolare del diritto di abitazione sull’ immobile ex art. 540 c.c. e che tale diritto era opponibile ai creditori.
L’opponente riteneva, nello specifico, che dal diritto reale di abitazione di cui era titolare si sarebbe dovuto far discendere che il pignoramento era avvenuto in eccesso e, dunque, con una estensione maggiore rispetto al diritto nella titolarità dell’esecutata e che, pertanto, sarebbe stato opportuno far dichiarare l’inefficacia dell’esecuzione o, in subordine, limitare la procedura esecutiva al diritto di minore estensione rispetto a quello pignorato, ovvero il diritto di abitazione vantato.
La Corte di Cassazione, chiamata a decidere, ha censurato la sentenza d’appello nella parte in cui ha disposto che “l’esistenza di un diritto di abitazione su un cespite non impedisce affatto l’espropriazione forzata e la vendita del diritto di piena proprietà sul medesimo”.
In particolare, la Corte ha ritenuto errato l’aver considerato il diritto dell’erede debitore esecutato come pieno, dal momento che, in seguito all’acquisto del diritto di abitazione, il diritto vantato avrebbe dovuto essere considerato “limitato” al già menzionato diritto reale di godimento.
La Suprema Corte ha tuttavia riconosciuto che la Corte d’Appello, con la sentenza impugnata, ha dato atto del fatto che, poiché il diritto reale di godimento è opponibile al creditore pignorante ed a quelli intervenuti, nonché al potenziale acquirente, l’immobile non avrebbe potuto essere venduto come libero, dovendosi dunque stimare una variazione del suo valore.
Alla luce di tutte le considerazioni sopra svolte la Cassazione, con la sentenza in commento, ha ribadito il principio secondo il quale “il pignoramento che colpisca un diritto maggiore di quello effettivamente spettante al debitore non è nullo, ma deve limitarsi al diritto minore di cui l’esecutato sia riconosciuto titolare e l’intera procedura esecutiva deve avere ad oggetto tale minore estensione”, senza però che ne venga inficiata l’intera validità.
Dunque, in ragione di quanto esposto, la Corte ha ritenuto che l’efficacia del pignoramento debba limitarsi al diritto minore di cui l’esecutata è ritenuta titolare, con conseguente nullità del pignoramento nella sola parte in cui colpisca la piena proprietà del bene, in luogo del minor diritto reale di godimento.
Per quanto sopra, la Suprema Corte ha ritenuto che la procedura esecutiva fosse stata correttamente instaurata, confermando l’efficacia del pignoramento nei limiti anzidetti.
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