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Secondo la recente proposta avanzata dal Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), i lavoratori potranno andare in pensione in un’età compresa tra i 64 e i 72 anni, mentre per la pensione di vecchiaia potrebbero essere necessari 5 anni di contributi in più.

Inoltre, attraverso tale riforma il CNEL si propone di introdurre una maggiore flessibilità in uscita di alcune categorie di lavoratori, viste le prossime scadenze di “Quota 103”, “Ape sociale” e “Opzione Donna”.

Il Governo è quindi chiamato ad affrontare la questione – particolarmente spinosa – della riforma delle pensioni, al fine di ridurre il debito pubblico e rinvenire le risorse economiche necessarie a sostenere gli importanti impegni economici che l’Italia sarà costretta a fronteggiare nel prossimo periodo.
In particolare, alcune compagini della maggioranza (la Lega su tutte) spingono per una riforma che introduca “Quota 41” per tutti i lavoratori, nonostante tale modifica potenzialmente produrrà un aumento dei costi per le finanze dello Stato, vista l’eliminazione dell’età anagrafica come requisito di accesso.

Ebbene, tornando alla proposta del CNEL, la stessa produrrebbe conseguenze importanti non solo in ordine all’età anagrafica prevista per l’accesso alla pensione, ma anche relativamente al metodo di calcolo dell’assegno pensionistico.
 
Ad oggi, il calcolo contributivo dell’assegno di pensione viene effettuato prendendo come parametro di riferimento un range di tempo che include 15 età diverse. Il calcolo, inoltre, riguarda i periodi di lavoro successivi al 1996, oppure al 2012 per i lavoratori che, entro il termine del 31 dicembre 1995, erano in possesso di 18 anni di contributi.
 
I coefficienti di trasformazione, che sono i parametri che – appunto – determinano l’importo della pensione tenendo conto dei contributi maturati, tengono conto di un’età tra i 57 e i 61 anni.
 
La proposta del CNEL, invece, prevede un abbassamento della forbice di tempo a 9 anni, anziché 15 e un’età per la pensione compresa tra i 64 e i 72 anni. Tale modifica presuppone, inevitabilmente, un cambiamento anche dei coefficienti di trasformazione.
 
Oggetto di modifica saranno anche i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia. Mentre rimane invariata l’età anagrafica per l’accesso alla pensione, che sarà sempre pari a 67 anni (salve eventuali modifiche dovute alle variazioni delle aspettative di vita), dovrebbero cambiare i contributi richiesti.
Ad oggi, infatti, sono richiesti 20 anni di lavoro; se la proposta del Cnel dovesse essere approvata, saranno invece richiesti 5 anni di lavoro in più. Sarà altresì necessario un assegno almeno pari a 1,5 volte l’Assegno sociale, mentre ad oggi il limite è pari a 1.
 
È comunque opportuno ricordare che si tratta di una proposta non vincolante, di cui il Governo potrà tenere conto, ma che non è tenuto a recepire. Infatti, secondo alcune stime, ad oggi non ci sarebbero ancora le condizioni per procedere ad una integrale riforma delle pensioni.
 
In ogni caso, il Governo sarà probabilmente tenuto a prendere alcuni provvedimenti sulle pensioni anticipate. Tali misure, infatti, oggi prevedono un accesso alla pensione di vecchiaia già al raggiungimento del 61° anno di età. I beneficiari inoltre percepiscono importi mensili pari a 2.035 euro lordi.
Si tratta, senza dubbio, di benefici che, ad oggi, viste le difficoltà economiche e l’elevato debito pubblico che interessa i bilanci del nostro Stato, non sono più sostenibili. Infatti, pensioni aventi importi così elevati ed erogate per periodi di tempo più lunghi costituiscono, per la maggioranza, un retaggio del passato.



 

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