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La Proposta di Direttiva UE in materia di regolazione dell’insolvenza, la terza in ordine di tempo dopo il Regolamento 848/2015 e la Direttiva restructuring 1023/2019, impatta sul quadro generale dell’insolvenza societaria con alcune norme mirate (sulla responsabilità degli amministratori) ed altre, in apparenza distinte perché relative ad istituti nuovi della liquidazione (per le microimprese), in realtà di possibile portata vastissima, data la coincidenza d’ingresso con presupposti soggettivi di assoluta maggioranza nella struttura economica degli imprenditori, non solo italiani. Il nuovo strumento, inoltre, imporrà un generale aggiornamento, negli ordinamenti degli Stati, sul modo con cui le disposizioni rispettivamente dettate per soggetti in situazione di insolvenza o di solo potenziale insolvenza sono state finora attuate.

Sommario: 1. Il contesto della proposta di Direttiva COM (2022) 702 del 7 dicembre 2022 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto in materia di insolvenza – 2. L’impatto della Proposta di Direttiva sul diritto societario della crisi e dell’insolvenza – 3.Gli obblighi e le responsabilità degli amministratori – 4. La tipizzazione della procedura concorsuale in presenza dell’insolvenza del soggetto collettivo – 5. Gli effetti indiretti della Proposta di direttiva sul diritto concorsuale societario dell’insolvenza: a) gli istituti opzionabili dalle società (segue) – 6. b) il trattamento dei soci e dei detentori di strumenti di capitale.

1. Il contesto della proposta di Direttiva COM (2022) 702 del 7 dicembre 2022 sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto in materia di insolvenza

L’iniziativa, annunciata nel settembre del 2020, si propone di promuovere l’integrazione finanziaria ed economica dell’UE, riconoscendo che discipline statuali non armonizzate in materia di insolvenza sono ostacoli alla libera circolazione dei capitali e allontanano la integrazione dei mercati. Obiettivi di dettaglio sono la certezza degli investimenti, la riduzione dei costi per quelli transfrontalieri, l’attrattiva incrementale del capitale di rischio per le imprese. Base di partenza è il convincimento che i diversi gradi di efficienza dei sistemi nazionali si scaricano di per sé  in tempi lunghi di liquidazione, bassi livelli di recupero dei crediti, incertezza sui quadri giuridici nazionali, costi elevati di informazione.

La coerenza con altre disposizioni unionali si è posta in termini di completamento. Il regolamento UE 2015/848 è infatti attuazione della cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale posta dall’art. 81 TFUE, dunque con esso vengono essenzialmente regolati potenziali conflitti fra Stati in tema di apertura delle procedure d’insolvenza e di determinazione della legge applicabile, nonché riconoscimento ed esecuzione in tutto lo spazio UE delle decisioni adottate dagli organi giurisdizionali (e amministrativi) competenti, senza impatto diretto sugli ordinamenti domestici. La Direttiva 2019/1023 si occupa a sua volta di quadri di ristrutturazione preventiva (rispetto all’insolvenza), esdebitazione e misure di rafforzamento delle stesse procedure, cioè di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione. L’iniziativa dell’UE con la Proposta, dunque la terza azione legislativa, mira espressamente a colmare un vuoto regolatorio, disciplinando cioè in modo più diretto e con principi uniformi – nel presupposto che non sia stato fatto prima – le procedure di insolvenza o, meglio, aspetti salienti dei rispettivi istituti nazionali. Detto altrimenti: dove tali istituti esistono già, s’imporranno su di essi le nuove disposizioni, dove mancano il conio domestico dovrà esordire applicando la direttiva. Quest’ultima, infatti, appare avviata ad applicarsi a situazioni con elementi sia di transnazionalità sia di diritto interno.

Le interferenze tra la Direttiva del 2019 e la Proposta oggetto di negoziato, nonostante la separazione programmatica, sono tuttavia endemiche e, ad oggi, problematizzano (per temporaneo difetto di coordinamento integrativo o soppressivo reciproco dei due testi) o non chiariscono importanti punti necessariamente strategici e necessari ad entrambi gli strumenti, come ad esempio la nozione di insolvenza. Così, la Direttiva 1023/2019 in parte la rimette ai sistemi adottati dagli Stati (come nelle definizioni, all’art.2 par. 2 lett. a), in altra parte, nella sostanza, ne fornisce una nozione originaria come negli artt. artt.17-18 (ove vengono protette dalle azioni di inefficacia o di responsabilità ovvero tutelate le priorità di pagamento dei finanziamenti nuovi e temporanei ovvero strumentali alla ristrutturazione quando sopravvenga l’insolvenza o anche quando essi siano concessi all’insolvente).

A sua volta la Proposta non rimette in modo esplicito agli Stati la definizione di insolvenza, ma più disinvoltamente talora dà per presupposto che, trattandosi di un requisito alla base dell’apertura, esso continui ad essere rimesso nella fissazione agli ordinamenti nazionali: così, nell’art.23 sulla sospensione delle azioni esecutive individuali della fase preparatoria del pre-pack, il beneficio andrà previsto per chi si trovi in una situazione di probabile insolvenza o sia già insolvente conformemente al diritto nazionale. Altre volte il testo attuale riprende lo stesso lessico della Direttiva 1023/2019 ovvero detta espliciti rinvii all’uno o all’altro strumento comunitario: ad es. l’art.12, a chiusura del titolo II sulle azioni revocatorie e di inefficacia, salvaguarda gli art.17 e 18 della Direttiva 1023/2019 così accettando l’esenzione da revocatoria ivi prevista. Un esempio del secondo tipo è peraltro immanente al sistema, poiché con la Proposta e quanto alle revocatorie la efficacia di un’armonizzazione minima dipenderà dallo sblocco della potestà dei singoli Stati membri (prevista nel Reg. 848/2015) di precludere tali azioni di inefficacia ove si riferiscano ad un atto che, per il diritto nazionale, vi sarebbe esente, così però pregiudicando anche in futuro il funzionamento dell’intero titolo III della Proposta.

In altri casi ancora la Proposta inaugura una sua definizione, con parziale valore sistematico, come nell’art.38 con riguardo alla liquidazione delle microimprese, la cui insolvenza si dà quando esse generalmente non sono in grado di pagare i propri debiti alla scadenza. La precisazione, all’art.38 par.2 primo periodo, è però ambiguamente completata rimettendo agli Stati di definire le condizioni in presenza delle quali la microimpresa versi in tale situazione, prescrivendo che esse siano chiare, semplici e di facile riconoscibilità.

La scelta dello strumento normativo, ai sensi dell’art.114 TFUE, è stata così giustificata, superando l’atto giuridico della raccomandazione (ritenuto poco efficiente) ed escludendo il regolamento (per la sua rigidità, ostativa all’adattamento delle norme processuali interne), con il ricorso ad una direttiva di armonizzazione. Ciò significa, nei propositi della Commissione, prescrizioni minime valevoli per tutti, intervento in settori mirati dell’insolvenza (quelli a più forte impatto di accelerazione ed efficienza sulle procedure), possibilità di misure supplementari domestiche nuove o conservazione di assetti esistenti se, definito l’ambito di tutela individuato nella Proposta, gli stessi interessi vengono perseguiti anche con maggiore intensità.

Gli ambiti della Proposta, oltre le definizioni e l’oggetto, sono le azioni revocatorie o di inefficacia (titolo  II, artt.4-12), il rintracciamento dei beni della massa fallimentare (e di terzi) utili alle azioni recuperatorie (titolo III, artt.13-18), la procedura di insolvenza del pre-pack (titolo IV, artt.19-35), gli obblighi degli amministratori (titolo V, artt.36-37), la liquidazione delle microimprese insolventi (titolo VI, artt.38-57), il comitato dei creditori (titolo VII, artt.58-67), le misure incentivanti la trasparenza delle procedure d’insolvenza nazionali (titolo VIII, art. 68) e le disposizioni finali (titolo IX, artt.-69-73).

2. L’impatto della Proposta di Direttiva sul diritto societario della crisi e dell’insolvenza 

La Proposta affronta il comparto societario in due modi: uno, diretto e dedicato, in tema di responsabilità procedimentale e civilistica degli amministratori; l’altro, indiretto, per gli effetti a valle di un investimento normativo su figure d’interesse per il soggetto collettivo e dunque con impatto tanto più ricorrente quanto più diffusa sia questa la veste assunta dall’imprenditore destinatario dell’introduzione o innovazione di taluni istituti di diritto comune.

L’elemento di congiunzione delle due scelte, oltre la diversa tecnica normativa, può essere visualizzato in un’ottica di funzionalizzazione ad un campo di doveri cooperativi verso i grandi obiettivi della Proposta: accelerazione delle procedure di insolvenza, diminuzione dei costi, ottimizzazione del risultato distribuibile, semplificazione di alcuni mirati conflitti d’interesse.

Un ulteriore effetto indiretto del testo si connette poi alla attitudine della Proposta di completare il quadro regolatorio, così incidendo sugli altri due strumenti ed in particolare integrando aspetti ambigui della Direttiva 1023/2019. Il primo punto, posto dall’art.36 Proposta, impatta infatti in modo frontale sui quadri di ristrutturazione preventiva, per più ordini di ragioni: l’obbligo di chiedere l’apertura della procedura d’insolvenza, almeno programmaticamente, si giustappone – senza confondersi – agli strumenti di emersione anticipata della crisi o insolvenza, scolpendo in modo netto l’area di operatività, con tale precetto, delle rispettive discipline. La Proposta è tendenzialmente destinata a regolare l’insolvenza e così detta norme per la sua più sollecita organizzazione concorsuale, fissando un termine di 3 mesi dalla relativa conoscenza – storica o presumibile – per far iniziare la correlata procedura. La Direttiva 1023/2019, invece, viene per contrapposto confinata in una zona che il suo art.4 par.1 intitola, assieme alla prevenzione, a tutte quelle situazioni di mera probabilità di insolvenza, da affrontare per impedire la insolvenza e assicurare la sostenibilità economica dell’impresa. Se tale linea di demarcazione sarà destinata a consolidarsi, va ipotizzata una ragionevole riflessione urgente sulla compatibilità di tutti quegli istituti domestici che hanno applicato a soggetti già insolventi principi e tutele somministrati nella Direttiva del 2019 a soggetti non ancora insolventi.

3. Gli obblighi e le responsabilità degli amministratori 

L’art.36 pone uno specifico obbligo di iniziativa a carico degli amministratori di un soggetto giuridico, locuzione ampia, che nel corrispondente provvisorio considerando evoca (seguendo le linee UNCITRAL) chi è incaricato di adottare o di fatto adotta o dovrebbe adottare decisioni fondamentali in merito alla gestione di un’impresa. Ne deriva che la disposizione, pur estendendosi anche a chi è titolare di un‘impresa monosoggettiva, nel campo delle organizzazioni economiche a struttura collettiva rinvia ad una nozione sostanziale di gestione: inclusiva, in prima approssimazione, di chi ricopre incarichi di conduzione e di assunzione delle scelte dell’impresa, cioè per suo conto, in suo nome, per investitura formale o anche in via di fatto. Lo stesso considerando si affretta a precisare che tutte le norme del titolo V sono norme minime di armonizzazione: i singoli Stati ben possono dunque conservare o implementare regimi di maggiore severità per quanto concerne tutti i segmenti che definiscono le complesse fonti di obbligazioni e responsabilità degli artt.36-37 Proposta.  Ma, corrispondentemente, non potranno più arretrare le tutele, nel titolo V chiaramente individuate per la massa dei creditori (che aspira a formarsi nel più breve tempo possibile, data l’insolvenza conclamata) e tutti gli stakeholders (che da una gestione liquidatoria tempestiva possono conservare o non peggiorare l’interesse contrattuale o comunque la relazione con l’impresa).

È difficile ipotizzare se il plurale (amministratori) impiegato nella disposizione debba essere letto come l’indizio di un dovere di iniziativa così intenso da configurarsi altresì come obbligazione individuale, ove ci sia un organo plurimo o anche solo più cogestori dell’impresa o se invece sia compatibile con la Proposta dimostrare, da parte del singolo, di aver fatto tutto il possibile per provocare un atto collegiale o di maggioranza idoneo ad impegnare, con gli amministratori, la sorte del soggetto giuridico amministrato. Se un ordinamento lo prevedesse, l’ottica della armonizzazione minima probabilmente accetterebbe anche un dovere di azione individuale, presumibilmente declinabile in modo diretto, come la norma prescrive, cioè esercitando la legittimazione ove consentita. Se però un singolo Stato permetta la istanza giudiziale solo nelle forme in cui la volontà dell’organo collegiale sia per statuto o codice organizzata secondo un procedimento deliberativo o di raccolta qualificata dei consensi, diventa dubbio poter scriminare tali condotte omissive sol perché al riparo di una regola tecnica di manifestazione della funzione. Il precetto dell’art.36 è infatti saldamente ispirato, con l’emersione tempestiva dell’insolvenza, alla sua più pronta declinazione concorsuale, tanto volendo significare la presentazione al giudice di una richiesta di apertura della procedura al più entro tre mesi dalla conoscenza della decozione. Si può tuttavia azzardare la compatibilità di un sistema che, senza scardinare le regole di formalizzazione della volontà di un organo amministrativo collegiale, canalizzi le conoscenze dell’insolvenza in un flusso di allerta diretto, se non al giudice, almeno ai soggetti titolari di un potere di iniziativa analogo, come ad esempio per l’Italia il pubblico ministero. È invece in possibile rotta di collisione con il titolo V un contesto normativo che vincoli i singoli coamministratori o cogestori delle società ed enti collettivi ad omettere in modo assoluto la manifestazione verso l’autorità giudiziale della propria individuale conoscenza dell’insolvenza in nome della riservatezza della situazione patrimoniale e soprattutto finanziaria e dei relativi movimenti e valori reali.

Il principale dovere di iniziativa è, per l’amministratore, provocare dunque con propria richiesta l’apertura di una procedura di insolvenza in presenza di due condizioni: a) quando viene a conoscenza dell’insolvenza o quando è presumibile in via ragionevole che lo sia; b) entro tre mesi dalla citata conoscenza, storica o presunta. Per strutturare tale dovere è prospettabile che il legislatore nazionale declini attraverso esemplificazioni o casi tassativi le condizioni in presenza delle quali la conoscenza dell’insolvenza è presunta. Mentre per la conoscenza diretta, il rinvio è alla nozione domestica della stessa, apparendo meno esigibile che la Proposta tolleri una specificazione normativa di conoscenza della insolvenza, entrambe le situazioni soggettive, peraltro, ben potrebbero essere recepite come tali, cioè nella propria originaria costruzione sintattica, dal legislatore nazionale, prestandosi esse già come clausole generali a concretizzarsi nella giurisprudenza e grazie all’alimentazione dottrinale. D’altronde l’art.38 par.2 secondo periodo (in materia di insolvenza della microimpresa) dopo averla definita (al primo periodo del par.) devolve agli Stati la scrittura delle condizioni di incapacità in generale di pagare i debiti alla scadenza, con ciò dimostrando che ove una proposizione non rimandi ad una esplicazione ben può essere trasposta come tale nell’ordinamento concorsuale nazionale.

Ci si può interrogare sul significato del trimestre dato all’amministratore per attivarsi. Fermo che tale dilazione è fissata nel massimo, potendo perciò gli Stati anticiparla o comunque rendere più severi i presupposti da cui scaturisce l’obbligo di iniziativa (così l’art.37 par.2), la sua violazione di per sé non integra una responsabilità civile ipso jure, almeno non nell’ambito dell’art.37, che infatti la collega alla produzione di danni, dunque ad un nesso causale per cui il pregiudizio ai creditori sia stato determinato proprio dall’inosservanza del citato dovere, così che appare difficile eludere il primo precetto. La sua previsione, tuttavia, potrebbe assumere un doppio significato: irrigidire i margini temporali di manovra degli amministratori del soggetto insolvente rispetto alle iniziative concorsuali assumibili e rendere problematica la scelta rispetto a strumenti domestici alternativi alle procedure di insolvenza e però fondati proprio su tale presupposto, come in Italia – tra gli altri – dai tradizionali concordati preventivi e accordi di ristrutturazione dei debiti.

Si potrebbe sostenere che, entro il trimestre, l’amministratore ha ancora la facoltà di esperire altre soluzioni compositive o preventive rispetto ad una procedura d’insolvenza, ma con obbligo di ricorrere a quest’ultima ove la decozione non sia stata nel frattempo rimossa, cioè nei tre mesi dalla sua conoscenza. Analogamente, andrebbe affrontata la compatibilità di quelle procedure (come concordati preventivi, accordi di ristrutturazione, piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, concordato semplificato) che, ipoteticamente fondate sullo stato di insolvenza, siano allestite in funzione liquidatoria. Ma con ogni rischio di conflitto tra la chiara disposizione dell’art.37 Proposta (che collega i danni al mancato rispetto dell’obbligo) e la solo apparente tolleranza assoluta ed astratta dell’esaurimento del trimestre, cioè anche quando nel frattempo la insolvenza (già nota) si aggravi. In realtà, è sostenibile che, proprio in virtù della armonizzazione minima cui volge l’istituto, nessuna norma nazionale che sanzioni il ritardo dell’amministratore dal procedere d’iniziativa subirà deroghe in relazione alla previsione di detto trimestre, che funge piuttosto da limite temporale massimo per gli ordinamenti che ne siano privi o comunque da norma regolatrice dei casi dubbi circa lo scrutinio di tempestività o ritardo nell’agire.

4. La tipizzazione della procedura concorsuale in presenza dell’insolvenza del soggetto collettivo 

Un altro significato che si potrebbe arguire dalle due disposizioni implica allora, più radicalmente, che, in presenza di insolvenza conclamata e nota o conoscibile, l’accesso ad altri istituti di regolazione concorsuale non diverrebbe più praticabile oltre il trimestre, dovendo promuoversi – come anticipato – proprio e solo l’apertura di una procedura di insolvenza.

Qui va probabilmente inaugurata una riflessione che conduca a riconoscere nelle procedure di insolvenza semplicemente quelle che si fondino su tale situazione oggettiva di elevata difficoltà o crisi, ma senza impedimenti a trovare nel modello concorsuale conseguentemente aperto la salvaguardia degli stessi valori (come la continuità aziendale) più ordinariamente perseguiti con i quadri di ristrutturazione preventiva. Ciò che muta nel profondo, con possibile alterazione dello strumentario italiano, è la consuetudine ad assegnare allo stesso debitore la prerogativa (potestativa) di accedere a soluzioni alternative a procedure d’insolvenza benché insolvente. Nell’ottica della separazione tra le due Direttive (1023/19 e Proposta) il titolo V sembra avere il significato di dissociare almeno parzialmente (e comunque oltre un certo e breve termine) il potere di condizionamento del debitore, se insolvente, dalla determinazione unilaterale del percorso concorsuale. Anche se l’affermazione, in realtà, suona innovativa solo per il nostro sistema, posto che nella stessa Proposta, con la procedura di pre-pack, il debitore insolvente può segnare egli stesso la sorte della liquidazione, così condizionandone non solo la nascita ma anche i contenuti. E pur tuttavia non è dubbio che, come precisato dall’art.20 Proposta, si tratta di una procedura di insolvenza, anche ai sensi dell’elenco di cui al Regolamento 2015/848. Per converso, la liquidazione semplificata delle microimprese non può essere aperta se non per chi è insolvente, ai sensi dell’art.38 par.2.

5. Gli effetti indiretti della Proposta di direttiva sul diritto concorsuale societario dell’insolvenza: a) gli istituti opzionabili dalle società (segue) 

Come anticipato, un parallelo impatto di sistema potrà scaturire sul diritto societario dell’insolvenza per effetto di altri istituti, per i quali sia ipotizzabile un coinvolgimento tipologico elettivo ovvero l’inserimento di qualche meccanismo di normazione speciale per gli ordinari attori delle relazioni proprie dei soggetti collettivi. 

Una prima questione concerne le microimprese, per la cui insolvenza il titolo VI detta un regime di accesso privilegiato ad una procedura liquidatoria grandemente semplificata. La definizione di cui all’art.2 lett. j), mutuata in prima stesura dalla Raccomandazione del 6 maggio 2003/361/CE della Commissione, rinvia ad una proposizione descrittiva eccessivamente ampia, nella considerazione critica che osserva i sistemi economici fondati sulla diffusione del modello organizzativo, posto che l’art.2 par.3 dell’Allegato ha riguardo ad un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR. La scelta di due parametri, pur valevoli congiuntamente, rischia invero di esercitare una forza attrattiva ingente, specie per la consuetudine di piccola occupazione di larga parte di operatori di filiere e distretti caratterizzanti l’economia di molti Paesi. Il dato è replicabile non solo per imprese a bassa valenza tecnologica ma anche per quelle a più forte processo innovativo di digitalizzazione o centrate su reti contrattuali prevalenti rispetto ad una più strutturale patrimonializzazione o base occupazionale diretta.

In un‘ottica di vantaggio per tali imprenditori, l’offerta di norme di semplificazione procedurale, contrazione dei costi e compressione delle fasi temporali di accertamento dei crediti e gestione degli attivi, dovrebbe peraltro essere salutata con favore. Guardando alle relazioni conflittuali con i creditori, per i sacrifici che possono subire, sono comprensibili in realtà gli interrogativi esprimibili già per la dimensione massiva che tale liquidazione potrebbe assumere, fino a diventare la procedura elettiva di interi sistemi.  Che si tratti di una scelta di favor debitoris  non si dubita troppo, come desumibile anche dalla generalizzazione che la procedura parrebbe destinata ad assumere, non potendo trovare ostacoli, ai sensi dell’art.38 par.3, nemmeno quando  non ci sono attivi o essi non sono sufficienti a coprire i costi della liquidazione semplificata: il legislatore comunitario vuole dunque con forza la concorsualizzazione della insolvenza minore, anche a prescindere da uno scenario liquidatorio-distributivo effettivamente proficuo, nell’evidente  prospettiva di liberazione di risorse che potrebbero al limite coincidere anche solo con gli apporti organizzativi dell’imprenditore più che con capitali investiti. Se la microimpresa è una società, a prescindere se di persone o di capitali, occorre infatti fare i conti con il risultato finale voluto, che è la esdebitazione: essa è un obiettivo all’apparenza indefettibile ai sensi dell’art.56, al punto da risultare estesa anche a fondatori, proprietari e soci della microimpresa a responsabilità illimitata che siano personalmente responsabili dei debiti. Viene dunque riproposta una visione di continuità dell’organizzazione-società, da proteggere anche nella prospettiva della più radicale liquidazione e nella perdurante scommessa che tale misura sia preferibile all’estinzione del soggetto. Appare allora evidente che, nell’intento della Proposta, è confermata un’idea di perpetuità dei soggetti collettivi, scommettendo sulla loro personalità o addirittura reputazione economica destinate a sopravvivere alla decozione. Di contro, parrebbero entrare in collisione gli ordinamenti nazionali che invece, optando per una valorizzazione maggiore della società-contratto, hanno invece investito di più sul legame relativo degli enti collettivi con l’impresa, fino ad indulgere ad un’opposta idea di impresa-iniziativa. Gli obiettivi della Commissione, pertanto, sembrano rafforzare il valore attribuibile all’organizzazione anche elementare dell’impresa, in un’ottica ottimistica che declina decisivamente l’esdebitazione routinaria a strumento più effettivo di ripartenza.

La procedura semplificata per le microimprese, va sottolineato, non è un’opzione lasciata agli Stati ma compone decisivamente il pacchetto dell’armonizzazione minima, divenendo pertanto scelta obbligata. Le rispettive norme fondamentali appaiono seguire l’obiettivo della celerità della liquidazione, della responsabilizzazione del debitore (non spossessato e cui di regola resta affidata l’amministrazione dei beni, salvo richiesta dei creditori e spesabilità dei costi per la massa ex art.39 par.1 lett. b), della complessiva semplificazione procedimentale (dalla richiesta, compilata su un modulo standard, art.41 par.3 fino alla formazione da parte del debitore stesso dell’elenco dei crediti, suscettibile di divenire lo stato passivo, in difetto di opposizioni o interventi dei creditori, art.45 par. 2 lett. c) e salvo i poteri dell’autorità investita della liquidazione o dell’eventuale amministratore di ammissione o diniego, art. 46 par.4), dell’accesso a sistemi di asta elettronica per la vendita dei beni (art.50).

Sulla vendita nella liquidazione semplificata, va qui segnalato che l’art.54 par.3 esplicitamente rimuove ogni limite alla possibile partecipazione ai sistemi di asta, tra gli interessati, anche degli azionisti o degli amministratori del debitore.

L’accesso all’esdebitazione, come anticipato, pone poi la questione del trattamento delle garanzie personali prestate per i debiti dell’impresa in liquidazione semplificata: nel presupposto che esse sono spesso richieste, per le esigenze aziendali, al fondatore (founder), al proprietario o detentore del capitale (owner) o comunque al socio (member) di una persona giuridica, l’art.57 detta la regola della relazione tra la procedura (di insolvenza o esecutiva individuale) a carico del garante e la liquidazione semplificata  nei termini di coordinamento o consolidamento.

6. b) il trattamento dei soci e dei detentori di strumenti di capitale 

Nella Proposta non ricorre una disciplina autonoma che inquadri ordinatamente diritti, prerogative di partecipazione, limiti in vario modo riconducibili allo statuto dei soci. Tuttavia, è possibile una riunificazione di differenti precetti che sembrano dettati per lo più dallo scrupolo di evitare un abuso di posizione rispetto ai terzi, per la vicinanza alle informazioni dell’impresa e alla sua gestione, dunque in un’ottica generalmente funzionale a risolvere conflitti. La conseguente scelta è tuttavia solo in parte quella di tutelare i terzi, in particolare la massa dei creditori, assicurando di più la Proposta, con alcuni congegni prudenziali, la fruttuosità della liquidazione, anche se coinvolgente come interessati le descritte figure.

Una preliminare definizione, quella di parti correlate (art.2 lett. q), trova per le persone giuridiche (legal entity) a sua volta quattro ulteriori distinzioni. Nel testo, la nozione è quella di parte strettamente correlata al debitore, con separata indicazione delle ricorrenze per le persone fisiche e nella comune accezione di persone con un accesso preferenziale ad informazioni non pubbliche sugli affari del debitore. Nello specifico, poi, si danno i) i membri degli organi di amministrazione, direzione o vigilanza del debitore; ii) i detentori di strumenti di capitale con una partecipazione di controllo; iii) le persone che svolgono funzioni analoghe alle prime del punto i); iv) le persone strettamente correlate alle prime tre categorie, rispetto a quelle specificate in relazione alle persone fisiche.

Inoltre, quando il debitore è persona fisica, la parte correlata include (come punto v) le persone giuridiche in cui, rispetto al debitore, anche parenti o conviventi o occupati nella stessa struttura abbiano accesso alle informazioni non pubbliche, compresi i consulenti.

La nozione di parti correlate emerge, nel sistema delle revocatorie delle preferences (atti satisfattivi o costitutivi di garanzia, colpiti per il periodo sospetto di tre mesi dalla domanda di apertura della procedura e con debitore insolvente o dopo tale richiesta), già all’art.6 par. 2 secondo periodo:  per esse risulta presunta la conoscenza dell’incapacità del debitore di pagare i debiti scaduti o della richiesta di apertura della procedura di insolvenza (lett. b) par. 2 dell’art.6), dunque operando la condizione descritta in termini di facilitazione della prova in capo agli amministratori delle procedure d’insolvenza. La stessa presunzione è ripetuta all’art.8, par. 1, secondo periodo, per gli atti intenzionalmente pregiudizievoli per i creditori (intentional detrimental to creditors, per i quali vige un periodo sospetto molto più lungo, quattro anni nella prima stesura del testo, sempre rispetto all’iniziativa per aprire la procedura o dopo tale richiesta).

Ancora per le revocatorie, l’art.11 affronta la responsabilità di terzi, cioè dei successori della parte che ha beneficiato dell’atto giuridico colpito da detta azione: in caso di successori a titolo particolare, la conseguenza restitutoria è prevista se il terzo ha goduto di un acquisto a titolo gratuito o per corrispettivo manifestamente inadeguato oppure, alternativamente, era o sarebbe dovuto essere a conoscenza delle circostanze su cui si fonda l’azione revocatoria. Per questa seconda evenienza la responsabilità della parte correlata, cioè strettamente definita nella citata relazione questa volta con la parte che ha beneficiato in prima battuta dell’atto giuridico colpito dall’azione, può basarsi sulla conoscenza presunta, secondo l’art.11 par.2 secondo periodo che dichiara tale la circostanza psicologica della lett. b).

Nel sistema del pre-pack (titolo IV, artt.19-35), a sua volta, il richiamo al diritto societario della crisi trova alcuni elementi di specificità nelle disposizioni comuni alle due fasi (la preparazione e la liquidazione), precisamente in tema di tutela degli interessi dei creditori. La procedura, una delle innovazioni più avanzate della Proposta, promuove una fase preconcorsuale, a richiesta del debitore e con nomina di un commissario (monitor) che, per conto del giudice, segue ed aiuta il debitore (che resta nel possesso dei beni e nella gestione corrente, art.22 par.4) a trovare un acquirente adeguato per l’impresa (art. 19, debtor’s business or part thereof), durante ‘un primo tempo’ in cui vi è possibile protezione dalle azioni esecutive (art.23).  Pervenuti alla raccolta di offerte, il pre-pack entra nella seconda fase (la liquidazione) confermando alla guida della procedura il commissario che diventa così amministratore (insolvency pratictioner) (art.25): se il giudice non autorizza la vendita all’acquirente proposto dal commissario, la procedura di insolvenza procede in modo ordinario disponendo un’asta pubblica, partendo però dall’offerta selezionata dal commissario (art.26). L’acquirente finale in questa procedura non subentra in debiti e passività (art.28), salvo suo consenso (anche su una parte dell’esposizione).

L’art.32 dedica alle parti strettamente correlate al debitore norme ad hoc per la vendita, secondo un principio di espressa possibilità di acquisizione dell’azienda o di sue parti, a date condizioni: piena informazione agli organi della relazione con il debitore, analoga disclosure verso le altre parti del processo di vendita, previsione di un tempo congruo per le seconde per organizzare la presentazione di un’offerta propria e alternativa. Se poi l’offerta della parte correlata resta l’unica, vanno disposte ulteriori misure di salvaguardia, incluso l’obbligo dell’organo concorsuale di respingere l’offerta se non soddisfa il miglior soddisfacimento dei creditori. Al netto di tali cautele, ciò che viene sdoganato è dunque un principio di favor per la circolazione aziendale, per effetto della ristrutturazione liquidatoria, sino a contemplare anche soggetti in conflitto d’interesse: sulla tradizionale preclusione all’acquisto prevale la vantaggiosità (per la massa) di un processo di vendita effettivamente trasparente e la verifica del best interest of creditors test. È allora immaginabile che il pre-pack possa essere utilizzato per operazioni di consolidamento dei debiti e di razionalizzazione produttiva fra soggetti societari non solo collegati o cooperanti contrattualmente ma a forte intersecazione per capitale, comunanza di gestione e investimenti, tali essendo le parti correlate. Posto che il pre-pack, a differenza della liquidazione semplificata, non ha limiti soggettivi o dimensionali verso il basso, il suo utilizzo appare potenzialmente largo, trascorrendo da ipotesi minori sino a conglomerati societari.

Un limite generale di applicazione si rinviene nell’art. 19 par. 2 ove è evocato il rispetto del diritto dell’Unione, dunque in primo luogo la nascente Direttiva e quella n. 1023/2019, potendo per ogni altro aspetto gli Stati organizzare la procedura secondo le proprie comuni procedure di liquidazione, se compatibili. Che però lo strumento possa essere utilizzato nelle ristrutturazioni interne ai gruppi è confermato dalle potenzialità che la fase di liquidazione assume, ai sensi dell’art.20 par.3, per la disapplicazione delle tutele occupazionali di cui alla Direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001: l’art.5 par.1 di questa lo consente a trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente, esattamente il caso del pre-pack.

Anche l’art.33, a sua volta, può interessare il tema societario perché, nel proteggere i finanziatori, non introduce limiti ai rimborsi anche di priorità per la particolare categoria dei soci che eventualmente abbiano sovvenzionato l’impresa con finanziamenti temporanei (par. a), b) e c) o intermedi (lett. d), dunque al pari di terzi estranei. La necessità dei primi è collegata (solo implicitamente) al successo del progetto, rimettendo a commissario o amministratore (dunque ad entrambe le fasi) curare che l’indebitamento avvenga al minor costo possibile (lett. a); la lettera b) assicura il pagamento prioritario (prededuzione) nell’ambito di successive procedure d’insolvenza (dunque nell’implicito presupposto che il pre-pack non decolli dalla prima alla seconda fase o si arresti ancora all’inizio); la lettera c) prefigura il rafforzamento della posizione del finanziatore mediante apposite garanzie sul ricavato della vendita. L’interferenza allora, in termini di trattamento concorsuale del credito di rimborso, delle distinzioni fra finanziatori-terzi e finanziatori-soci ben potrebbe collocarsi essenzialmente nel sistema delle revocatorie, come esemplificato nelle preferences dell’art.6, per quanto già detto della presunzione di conoscenza dell’insolvenza e ove l’atto sia nel trimestre anteriore alla richiesta o successivo ad essa. Il pre-pack, infatti, costituisce a tutti gli effetti – come premesso – una procedura d’insolvenza (art.20 par.1)

D’interesse, infine, la nozione di finanziamenti intermedi (in realtà sottotipo di interim financing) che per la lettera d) del par.1 art.33 sono ipotizzati quali provenienti dagli offerenti interessati, ammessi in compensazione del prezzo dell’azienda in caso di aggiudicazione in loro favore. In questi casi, infatti, il credito di rimborso che tali finanziatori-acquirenti debbono ricevere può essere scomputato così da generare compensazione a favore del creditore-acquirente, se però i crediti siano significativamente inferiori al valore di mercato dell’impresa (credit bidding). L’art. 33 al par.2 vieta tuttavia la costituzione di diritti di prelazione diretta agli stessi offerenti, cioè ove essi già sono autori del finanziamento e al contempo si propongano per l’acquisto aziendale.

Un particolare ambito di tutela, in termini di contraddittorio prodromico all’autorizzazione o all’esecuzione della vendita è assicurato, nel medesimo contesto della considerazione riservata ai creditori, altresì ai detentori di strumenti di capitale dell’impresa del debitore (les détenteurs de capital de l’entreprise du débiteur; holders of equity of the debtor’s business): anch’essi hanno diritto di essere sentiti dal giudice (art.34 par.1). Sono però stabilite delle deroghe a tale principio: in particolare, se gli aventi diritto non riceverebbero nulla dalla liquidazione (lett. a) par.2) gli Stati possono escluderli dal contraddittorio preventivo.

Tratto dalla relazione tenuta in Catania 9-10 giugno 2023 (convegno OCI, Osservatorio sulle crisi d’impresa, Il nuovo diritto societario della crisi).

Sin dall’inizio del secondo decennio vi era stata un’iniziativa specifica in ambito UE con la Risoluzione del Parlamento europeo del 15 novembre 2011 sulle raccomandazioni alla Commissione sulle procedure d’insolvenza nel contesto del diritto societario dell’UE (2011/2006(INI))

L’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.

Le norme minime di armonizzazione della direttiva (UE) 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva si applicano solo alle imprese che non sono ancora insolventi e perseguono l’obiettivo di evitare le procedure di insolvenza per le imprese di cui è ancora possibile ripristinare la sostenibilità economica. Esse non si occupano della situazione in cui un’impresa diventa insolvente e deve essere sottoposta a una procedura di insolvenza. (Relazione alla proposta di Dir. Insolvency III, § 1.2.)

Definito all’art.17 par.3 Dir. 1023/2019 quale debitore divenuto incapace di pagare i propri debiti alla scadenza, con replica all’art.18 par.3 che parimenti facoltizza gli Stati ad escludere dall’esonero dalle azioni di inefficacia e di responsabilità del terzo le operazioni connesse alla ristrutturazione effettuate dopo che il debitore sia incorso in detta incapacità.

La immunità sovrana dalle revocatorie può essere superata pertanto solo se si inciderà sull’art.16 Reg. 2015/848 ai sensi del quale, quanto agli atti pregiudizievoli, è stabilito che l’art.7, par 2, lett. m) (che rimette alla legge dello Stato di apertura le disposizioni relative alla nullità, all’annullamento o all’inopponibilità degli atti pregiudizievoli per la massa dei creditori), non si applica quando chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori prova che: a) l’atto è soggetto alla legge di uno Stato contraente diverso dallo Stato di apertura, e b) la legge di tale Stato membro non consente, nella fattispecie, di impugnare tale atto con alcun mezzo. La frequenza con cui clausole contrattuali dispongono l’applicazione di una legge di riferimento che blinda il rapporto negoziale e le sue conseguenze in caso di insolvenza transnazionale di una delle parti è all’origine della previsione citata:  l’esigenza di superamento o chiarificazione si raccorda alle finalità della Proposta di scongiurare ulteriori fenomeni di forum shopping  e rafforzare  una lex concursus unionale, a tutto vantaggio della gestione efficace delle procedure di insolvenza.

Al comma 1: Salvo che i trattati non dispongano diversamente, si applicano le disposizioni seguenti per la realizzazione degli obiettivi dell’articolo 26. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.

La citata Risoluzione del Parlamento UE proponeva di aprire una procedura di insolvenza nei confronti di debitori che siano persone fisiche, persone giuridiche o associazioni non riconosciute; le procedure … siano avviate tempestivamente in modo da consentire il salvataggio di un’impresa in difficoltà; … obbligo del debitore di presentare istanza di fallimento, la procedura deve essere aperta in un lasso di tempo compreso fra uno e due mesi dalla cessazione dei pagamenti, a meno che il giudice non abbia già avviato un procedimento preliminare ovvero abbia adottato opportuni provvedimenti a tutela dell’attivo e a condizione che gli attivi siano sufficienti a coprire i costi della procedura di insolvenza; gli Stati membri sono tenuti a stabilire norme che introducano la responsabilità del debitore in caso di mancata o inadeguata domanda e a prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive (All., Parte 1.1.).

Si può ipotizzare l’attualità del rinvio all’ampia latitudine soggettiva dell’iniziativa di accesso di cui all’art.37 co. 2 CCII, dunque agli organi e autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e vigilanza sull’impresa.

Entra in zona di osservazione, in apparenza, ogni istituto che valorizzi le cause di esonero da responsabilità per il singolo amministratore che abbia fatto constatare, all’interno della società, il suo dissenso rispetto ad atti ovvero, come qui rileva, omissioni dell’organo (cfr. l’art.2392 c.c.); la prospettiva da cui muove la Proposta pare infatti superare il catalogo dei limiti alla responsabilità ed estendersi ad un dovere di iniziativa, se non di azione, verso l’autorità giudiziaria.

Prevedibilmente, comunque, la prevista cogenza in direttiva orienterà anche il dibattito interno sui potenziali conflitti d’interesse o abusi nei rapporti tra soci ed amministratori ove i secondi assumano l’iniziativa ai sensi dell’art.120-bis CCII.

L’art.23, in realtà, facoltizza alle richieste di misure protettive anche chi, durante la fase di preparazione, sia in una situazione di probabile insolvenza, un’ambiguità problematica del testo proposto, specie per il rapporto con il titolo V e tutte le premesse che descrivono il pre-pack quale procedura di liquidazione dedicata all’insolvente.

L’art.42 par.1 lett. b) lo elenca tra i casi in cui l’apertura può dal giudice essere rifiutata, ma l’apparente discrezionalità parrebbe invero solo regolare il perimetro dell’istituto, in una nozione di inammissibilità, ove si  osservino le altre circostanze (difetto di microimpresa, incompetenza dell’autorità adita, mancanza di giurisdizione dello Stato in cui è stata presentata).

I primi due par. definiscono le PMI e la piccola impresa, come assets e soglie finanziarie integranti le tre categorie: 1. La categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR. 2. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR.

Entrano allora in zona critica o comunque di innovativo coordinamento, in apparenza, le disposizioni (come nel CCII gli artt.233-234) che segnano uno scenario di cancellazione delle società dal registro delle imprese all’esito della chiusura della procedura.

Il rinvio è addirittura in blocco all’intero titolo III della Direttiva 1023/2019 (artt.20-24).

Appare infatti evidente il raccordo con il titolo III della Direttiva 1023/2019, in particolare gli impegni assunti agli artt.20, 22.

Lo scenario potrebbe prevedere: il pieno controllo di beni e gestione; la nomina di un amministratore, con trasferimento dei poteri e della stessa liquidazione, anche parzialmente; la perdita integrale di controllo e gestione, senza nomina di un amministratore e dunque la centralità delle approvazioni dell’autorità competente (art.43 par.4).

La formula dell’art. 54 par.3 impegna gli Stati a che tali persone siano ‘autorizzate’, nozione tuttavia residualmente compatibile sia con la mancanza di barriere all’ingresso alle piattaforme di asta, sia con atti che, di volta in volta, rimuovano il limite e dunque frapponendo considerazioni di esclusione in ipotesi prevalenti.

Il rinvio è espresso agli artt.6 e 7 della Direttiva 1023/2019, è strumentale all’efficacia del progetto e, singolarmente, accomuna la sorte dell’insolvente a quella di chi si trovi anche solo in una situazione di probabile insolvenza.

Come noto la tendenziale automatica traslazione del rapporto di lavoro in capo al cessionario aziendale è fissata dagli artt. 3 e 4 Dir. 2001/23/CE che rispettivamente stabiliscono che diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario e  che il trasferimento di un’impresa, di uno stabilimento o di una parte di impresa o di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario.

 

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