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L’articolo 820 del Codice Civile, di cui al Libro III – Della proprietà, Titolo I – Dei beni, Capo I – Dei beni in generale, Sezione III – Dei frutti, è rubricato rubricato Frutti naturali e civili”.

Il testo aggiornato dell’art. 820 c.c. dispone che:

“Sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l’opera dell’uomo come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere.

Finché non avviene la separazione, i frutti formano parte della cosa. Si può tuttavia disporre di essi come di cosa mobile futura.

Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni”.

La previsione disciplina la definizione di frutti naturali e di frutti civili, seppure non fornendo un elenco tassativo dell’uno o dell’altro.

Sono frutti naturali quelli provenienti direttamente dalla cosa, che vi sia o meno l’opera dell’uomo.

Al contrario, sono frutti civili quelli che possono essere trattati dalla cosa, come forma di corrispettivo del godimento che un altro ne abbia.

I frutti naturali sono interessati da un particolare regime di circolazione poiché, fino a che non siano separati dalla cosa che li ha originati, non possono essere trasferiti come cosa mobile futura.

La conseguenza è che, qualora i frutti non vengano affatto originati, il trasferimento (come nel caso del contratto di vendita) è da ritenersi nullo.

Sono frutti civili, invece, le rendite vitalizie; gli interessi sui capitali; il corrispettivo dei canoni enfiteutici e di locazione ecc.

Per approfondire la differenza, la disciplina e gli esempi dei frutti naturali e civili, si consiglia la lettura dell’articolo Frutti naturali e civili: definizione e spiegazione.

Ecco alcuni tra gli orientamenti rilevanti della giurisprudenza:
Corte di Cassazione, sezione 6 2, ordinanza 18 novembre 2021, n. 35210
Il comproprietario che sia risultato assegnatario del bene a seguito del giudizio di primo grado e che, tuttavia, non ne tragga diretto godimento, per non essergli quello rilasciato dal condividente che ne ha abbia la concreta disponibilità, ha diritto a conseguire da quest’ultimo i frutti del bene medesimo, maturati dopo la sentenza di primo grado, considerando che il protrarsi del giudizio in sede di impugnazione – e, con esso, della privazione del godimento del bene, in considerazione della natura costitutiva della sentenza di scioglimento della comunione che, per il prodursi dei suoi effetti, presuppone, anche relativamente al diritto al rilascio del bene, il passaggio in giudicato – non può pregiudicare il diritto dell’avente diritto di pretendere le rendite che gli sono dovute“.

Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 30 luglio 2021, n. 21906
Mentre ha carattere di debito di valore l’obbligo del rendiconto relativo ai frutti naturali della cosa, integra “ab origine” un debito di valuta – soggetto, come tale, al principio nominalistico – l’obbligo del rendiconto dei frutti civili costituenti il corrispettivo del godimento della cosa, sicchè quest’ultimo, ancorché difetti di liquidità, non è suscettibile di rivalutazione automatica, mentre il fenomeno inflattivo può integrare solo responsabilità risarcitoria per maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c., sempre che ne ricorrano i presupposti – inclusa la colpevolezza del ritardato pagamento“.

Corte di Cassazione, sezione 6 3, ordinanza 3 dicembre 2020, n. 27617
Nel giudizio di appello, se, in primo grado, è stato chiesto il pagamento dei frutti civili scaduti – quali sono le somme dovute a titolo di canone – è consentito domandare gli ulteriori frutti maturati dopo la sentenza impugnata“.

Corte di Cassazione, sezione 1, ordinanza 3 giugno 2020, n. 10505
Nel caso in cui l’intermediario opponga l’eccezione di buona fede per evitare un uso oggettivamente distorsivo delle regole di legittimazione in tema di nullità protettive, al solo fine di paralizzare, in tutto o in parte, gli effetti restitutori conseguenti all’esperimento selettivo dell’azione di nullità da parte del cliente investitore, nei limiti della complessiva utilitas economica ritratta da quest’ultimo grazie all’esecuzione del contratto quadro affetto dalla nullità dal medesimo fatta valere, le cedole medio tempore riscosse dall’investitore non vengono in considerazione né come oggetto dell’indebito, né quali frutti civili ex art.820 e 2033 c.c., ma rilevano solo come limite quantitativo all’efficace esperimento della domanda di indebito esperita dall’investitore“.

Corte di Cassazione, sezione 3, sentenza 14 novembre 2019, n. 29491
In materia di esecuzione forzata, il contratto di locazione di immobile stipulato, quale locatore, da parte del non proprietario prima del pignoramento del medesimo bene, ancorché valido, non è opponibile alla procedura esecutiva, essendo invece ad essa opponibile il pagamento liberatorio effettuato al locatore, anche dopo la trascrizione del pignoramento, dal conduttore in buona fede ex art. 1189 c.c, in deroga alla regola dell’inefficacia del pagamento al non legittimato (art. 560, comma 2, c.p.c.); sicché, il custode, che non ha titolo di pretendere il pagamento dei canoni di locazione essendo stati riscossi con effetto liberatorio nei confronti del “solvens”, può agire per ottenere, previa dimostrazione dell’ammontare del danno da occupazione “sine titulo”, la differenza tra questa, ove maggiore, e quanto già corrisposto al locatore a titolo di canoni di locazione“.

Corte di Cassazione, sezione 2, ordinanza 22 ottobre 2019, n. 26878
I contratti di diritto privato aventi ad oggetto lo sfruttamento di cave possono assumere configurazioni giuridiche diverse, a seconda dell’intenzione dei contraenti, potendo infatti integrare: a) una vendita immobiliare, quando il negozio abbia ad oggetto il giacimento nella sua complessiva stratificazione intesa in unità di superficie e di volume e ne sia previsto il completo trasferimento per un prezzo commisurato al volume dell’intera cava; b) una vendita mobiliare, se le parti abbiano invece considerato il prodotto dell’estrazione, ragguagliato a peso o a misura; c) un contratto riconducibile nello schema dell’affitto di bene produttivo, quando l’intenzione dei contraenti sia invece finalizzata allo scopo di consentire il godimento (sfruttamento) temporaneo del bene secondo la sua destinazione“.

Corte di Cassazione, sezione 2, ordinanza 3 luglio 2019, n. 17876
Ai fini della determinazione dei frutti che uno dei condividenti deve corrispondere in relazione all’uso esclusivo di un immobile oggetto di divisione giudiziale, occorre far riferimento ai frutti civili, i quali, identificandosi nel corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, ben possono essere liquidati con riferimento al valore figurativo del canone locativo di mercato“.

Corte di Cassazione, sezione 2, ordinanza 26 ottobre 2018, n. 27256
È valida una separata alienazione del soprasuolo dal sottosuolo quali entità giuridicamente autonome, nonché la costituzione in via accessoria di diritti di servitù in favore del sottosuolo trasferito all’acquirente e a carico del soprasuolo rimasto all’alienante, al fine della migliore utilizzazione del fondo alienato, scindendosi l’unica proprietà originaria appartenente a un solo soggetto in più proprietà distinte in senso verticale facenti capo a soggetti diversi“.

Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 7 agosto 2012, n. 14213
In tema di uso della cosa comune, nell’ipotesi di sottrazione delle facoltà dominicali di godimento e disposizione del bene, è risarcibile, sotto l’aspetto del lucro cessante, non solo il lucro interrotto, ma anche quello impedito nel suo potenziale esplicarsi, ancorché derivabile da un uso della cosa diverso da quello tipico. Tale danno, da ritenersi “in re ipsa”, ben può essere quantificato in base ai frutti civili che l’autore della violazione abbia tratto dall’uso esclusivo del bene, imprimendo ad esso una destinazione diversa da quella precedente“.

Corte di Cassazione, sezione 1, sentenza 15 giugno 2012, n. 9845
In tema di divisione della comunione legale tra coniugi, da effettuarsi secondo i criteri di cui agli art. 192 e 194 cod. civ., la determinazione del periodo per il quale spetta il corrispettivo dovuto con riguardo al mancato godimento della quota di pertinenza del bene immobile fruttifero decorre, ai sensi dell’art. 1148 cod. civ., dalla data di proposizione della domanda di divisione, quale momento d’insorgenza del debito di restituzione (“pro quota”) in capo al possessore di buona fede in senso oggettivo e non dalla data di passaggio in giudicato della sentenza di separazione“.

Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 5 aprile 2012, n. 5504
I frutti civili, dovuti dal comproprietario che abbia utilizzato, in via esclusiva, un bene rientrante nella comunione, hanno, ai sensi dell’art. 820, terzo comma, cod. civ., la funzione di corrispettivo del godimento della cosa e possono essere liquidati con riferimento al valore figurativo del canone locativo di mercato“.

Corte di Cassazione, sezione TRI, sentenza 4 aprile 2012, n. 5391
Il contratto avente per oggetto lo sfruttamento di una cava non può essere inquadrato nello schema della vendita immobiliare, ove ad esso sia apposto un termine finale, attesa l’impossibilità tecnico-giuridica, nel nostro ordinamento, di una vendita sottoposta a termine finale per l’inammissibilità della proprietà temporanea, essendo invece esso tipicamente sussumibile, ai sensi degli artt. 820 e 1615 cod. civ., nella figura del contratto di affitto“.

Corte di Cassazione, sezione 3, sentenza 24 ottobre 2011, n. 21998
In caso di iscrizione di ipoteca per un capitale, l’estensione del privilegio ipotecario agli interessi, secondo le condizioni indicate dall’art. 2855, commi secondo e terzo, cod. civ., è limitata ai soli interessi corrispettivi, con conseguente esclusione di quelli moratori, dovendosi ritenere l’espressione “capitale che produce interessi” circoscritto ai soli interessi che costituiscono remunerazione del capitale medesimo, senza che, neppure in via analogica, possano ritenersi in essi inclusi quegli interessi che trovano il loro presupposto nel ritardo imputabile al debitore“.

Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 12 ottobre 2011, n. 21013
Il principio della dichiaratività della divisione, di cui all’art. 757 cod. civ., opera inderogabilmente con riguardo unicamente alla retroattività dell’effetto distributivo, per cui ciascun condividente è reputato titolare sin dal momento della successione dei (soli) beni concretamente assegnatigli od attribuitigli e dei relativi frutti non separati. Viceversa – per quanto attiene ai frutti separati ed agli altri incrementi oggettivi dei beni ereditari verificatisi anteriormente “manente comunione” – il suddetto principio non ha ragione di operare e tali incrementi si presumono, salvo patto contrario, acquisiti alla massa e così automaticamente alla titolarità “pro quota” di ciascun coerede. Ne consegue che, all’atto di scioglimento della comunione, il possessore del cespite ereditario ha l’obbligo di rendere il conto in relazione ai frutti maturati prima della divisione“.



 

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